23.4.13

Un vetro specchiato

Un vetro, specchiato da un lato, divide gli adulti che vedono e faticano a fantasticare, da quello dei bambini che, non ancora in grado di vedere, restano immersi nei loro sogni fragili e tessuti di puro.

22.4.13

Perdonate l'idealismo

E' tangibile la sensazione di vivere in un mondo che anno dopo anno si fa sempre più complesso, più difficile nei suoi meccanismi di sopravvivenza, e nel quale si diffondono in modo incontrollato comportamenti devianti, criminosi, immorali. Dove la sete di denaro e di successo personale sempre più forza l'uomo a scegliere strade al limite della legalità o impervie sul piano della rispettabilità.
Con slancio idealistico bramiamo un ritorno alla semplicità. Il desiderio di recuperare piena fiducia nello Stato, nei politici, nelle persone, nel prossimo. Un infantile bisogno di tornare alle origini della società, di riscoprire l'umiltà, la semplicità, la riservatezza, i toni misurati e i modi raffinati ma non più edulcorati dal lusso dell'avere tutto e troppo. 
Ci vorrebbero folle di esseri illuminati, che con il loro esempio ci riportassero a cercare noi stessi dentro l'altro. Che si nutrissero di fertile idealismo e che dispensassero parole solide come pietre miliari, su cui far camminare la gente, mai così smarrita come oggi.

16.4.13

Le comunità virtuali (o "social network")

Mi spiace ma non riesco ad appassionarmi ai social network.
Chi li vuole elevare a segni del progresso, sostiene che essi, in quanto comunità virtuali, favoriscano una veloce ed efficiente comunicazione (giornalistica, sociologica, culturale in genere).
Ma sfido chiunque a trovare, in un gruppo di cento utenti, più di quanti ne contino due mani che siano interessati ad un uso intelligente dello strumento.
Invece, l’uso che ne facciamo è per raccontare i micro fatti insulsi della nostra vita. Ci esibiamo in esternazioni finalizzate soprattutto a farci risultare il più possibile simpatici, originali, divertenti, arguti, spiritosi, provocatori, originali, e via dicendo. Ci mettiamo in mostra nel tentativo di sentirci vivi e parte del giro “giusto” (cool, direbbero gli inglesi). L’umano bisogno di sentirsi “vincenti”.
Posso riconoscere che siano meccanismi di comunicazione che esercitano una forte attrazione sugli adolescenti, perché, per quanto pericolose e distorte, costituiscono forme di consolidamento della propria personalità sociale, di cui a quell’età si sente tremendamente bisogno.
Ma poi gli adolescenti crescono, ed eppure i trentenni, i quarantenni, ma anche gli ultracinquantenni, non resistono al brivido del palcoscenico virtuale: un palcoscenico però che affaccia sulla platea del nulla assoluto, dove il pubblico siamo noi stessi, a rotazione, che ci alterniamo nel ruolo di attore e spettatore, recitando un copione di nessun interesse e di assoluta vacuità.
Dietro tutto, la paura di essere ignorati, la preoccupazione di non esserci, di non suscitare altrimenti la migliore immagine di noi stessi. Perché dal vivo recitare è molto più difficile. Perché a voce tutto si sgonfia come un soufflè. Perché, se non abbiamo il conforto di chi ci invia un “I Like” o ci “tagga”, ci sembra di non esistere, anonimi come rischiamo di essere nelle nostre routine esistenziali di banali esseri normali.
Mi spiace. Piuttosto, amo molto le email, amo le lettere, amo soprattutto le conversazioni che si srotolano pigramente e con sincerità, davanti ad un the, ad un caminetto, ad un tramonto marino. Queste cose invece le amo.