2.1.07

In morte di un dittatore

Non essere banali nel manifestare contro la pena di morte non è facile.
Allo stesso tempo, argomento che si presta a molteplici riflessioni e di difficile trattazione. Punto di incontro tra pacifismo, ateismo e religione ma anche punto di dissenso fra religioni. Strumento involuto in mano a società iperevolute o strumento non ancora evoluto in Paesi involuti.
E' allora più facile limitarsi ad uno sfogo.
Dove troviamo il pudore di guardare gli occhi di un uomo al quale stiamo (noi tutti) per togliere la vita? Quale autorità legislativa può sancire la liceità di un omicidio, sia pure relativo ad un dittatore reo di crimini contro l'umanità?
Al comune uomo onesto pare di una durezza insopportabile la pena dell'ergastolo, della libertà negata a vita. Fatichiamo a trovare in essa un senso, giudicandola eccedente qualsiasi sia la colpa da espiare. Ergastolo o pena di morte recano in sè l'aberrazione che scende sull'uomo quando questi usa il raziocinio o ancora peggio il suo sapere legislativo per privare per sempre un suo simile della libertà e della vita.
Eppure c'è chi attribuisce un valore ancora attuale alla legge del taglione, frutto di civiltà ed epoche in cui l'uomo stava ancora compiendo il suo percorso evolutivo che lo ha poi portato a distinguersi nel regno animale, ispirato quest'ultimo a principi di istinto e non di razionalità.
C'è chi ritiene che lo Stato abbia il dovere di estirpare dalla società i criminali mediante la soppressione fisica.
C'è chi sottovaluta l'urgente necessità di promuovere il risanamento dei fattori economico-ambientali, storici, religiosi, culturali che conducono a tale atteggiamento criminale.
Spero che gli stessi almeno non fingano di non sapere che coperto dalla mascherina nera del boia c'è anche il loro volto e che la mano che dà corrente ad una sedia, che inietta la morte ad un condannato, che gli spalanca la botola degli inferi, è la loro.