11.12.09

La limpidezza del suono hi-fi

In epoca di musica digitale, dematerializzata, compressa, portabile, racchiusa in accessori sempre più ridotti di dimensioni e sofisticati nelle prestazioni, sembrano ormai del tutto tramontati i vecchi sistemi hi-fi che riempivano le stanze dei giovani negli anni '70 e '80.
Neri, austeri, impilati in smisurate torri tecnologiche, gli stereo (così venivano definiti nel gergo quotidiano) occupavano un angolo privilegiato della casa e vi venivano collocati con accuratezza, affinchè dai grandi e potenti diffusori le note uscissero cristalline e senza rimbombi.
Formavano oggetto di una morbosa attenzione da parte di noi ragazzi, perennemente in cerca di vibranti emozioni sonore. Forse erano anche anni in cui le attrattive del mondo esterno erano più limitate. Era la musica che entrava nelle nostre case per farci compagnia e viaggiare con l'immaginazione, spesso nelle terre rockeggianti di Inghilterra o USA.
Ma man mano che il mondo esterno si fece più attraente, i centri gravitazionali si spostarono nelle discoteche, nei locali, negli auditorium, e con essi la musica che iniziò a seguirci: i primi walkman, i "compatti", che erano più facili da trasportare a casa di un amico che ne era sfornito o in vacanza infilati in un angolo del bagagliaio della macchina.
Tutto naturale e quasi scontato. In fondo, ben venga che abbia prevalso in noi la tendenza a socializzare ed a lasciare che la musica fosse una semplice colonna sonora della nostra vita e non, in sè, la nostra vita.
Ogni tanto riaccendo il mio stereo ed ogni volta la musica che ne sento uscire mi sembra qualcosa di nuovo, di esaltante. Un flusso di energia pulita che si insinua rapidamente dentro il cervello, salendovi dal pavimento.
In una di queste occasioni mi sono ricordato di quando, bambino, mio padre montò per la prima volta a casa uno di questi sistemi, per lo più fatti di un amplificatore, di un giradischi, di un registratore a cassette, di due imponenti e pesanti diffusori da terra.
Per me, che fino a quel momento avevo conosciuto soltanto l'opaco suono del mangiadischi a 45 giri o dei registratori Geloso a bobine o Philips a cassette, fu uno shock: la pulizia del suono, il modo con cui ne venivi avvolto ritrovandoti ipnotizzato al centro di esso, le pulsazioni dei bassi e delle batterie, la limpidezza delle chitarre, formavano un insieme di un'armonia e di un impatto impossibili a dirsi.
Qualcosa di quelle sensazioni è oggi ormai perduta. Non se ne sente più il bisogno. Non c'è n'è il tempo. Bastano un Ipod o un PC, o peggio ancora lo stereo della macchina, per soddisfare il nostro bisogno quotidiano di musica. Forse è giusto così.
Ma credo non troverò mai il coraggio di privarmi di quel monolite nero a blocchi che, con la serafica saggezza dei vecchi, mi osserva con affetto dalla stanza della casa in cui lo custodisco, troppo spesso spento e silente.