5.12.16

Ben (ri)trovato Vincent Van Gogh!

Progetto una velocissima gita ad Amsterdam, con il solo obiettivo di dedicarmi ai quadri di Rembrandt e di Van Gogh.
Il primo traghetta la pittura classica verso quella moderna, intercettando, all'interno di temi e personaggi del diciassettesimo secolo, tratti di poesia e di umanità in movimento, che colpiscono l'osservatore più attento per la forza espressiva. Una grazia nel disegno e un'argutezza nelle idee che di recente lo hanno reso un pittore fra i miei preferiti.
Vincent Van Gogh l'ho assorbito, invece, fin da ragazzo, grazie a mostre e musei visitati con la scuola o la famiglia. L'ho apprezzato, mi sono lasciato conquistare dalle sue tele molto semplici e descrittive, dai colori forti, a volte violenti, che solo più tardi ho capito quanto mi avessero condotto ad appassionarmi a pittori come Matisse, Kandinsky o Chagall.
Gradualmente, mi sono però reso conto di quanto le immagini delle sue opere stessero dilagando nel mondo, attecchendo su tanti altri, come me, non esperti. I media, il marketing dell'arte, hanno quindi cavalcato questa tendenza, e i suoi quadri sono via via diventati oggetto di un imponente business, ormai non più confinato allo stretto ambito delle mostre e dei libri d'arte. Alla fine, confesso che Van Gogh mi era venuto addirittura a noia; le sue opere mi apparivano oltremodo stucchevoli, persino ruffiane; troppo immediatamente fruibili e, quindi, a veloce deperimento emotivo.
Parto, dunque, per Amsterdam, per rimettere a posto il mio rapporto con Il pittore, e capire meglio quale sia l'essenza reale dei suoi lavori, magari recuperando qualcosa sfuggitomi in passato. 
Dedico un'intera mattinata alla visita del museo, che raccoglie gran parte della sua produzione artistica grazie alla meritoria opera di un nipote, fondatore dell'edificio negli anni '60.
Il percorso é organizzato molto bene, permettendomi di entrare via via nella storia della vita di Van Gogh, nonché soprattutto della sua psicologia, grazie anche ai dettagliati commenti forniti dai pannelli e dall'audioguida.
Alla fine della visita, sorprendentemente, ciò che resta impresso a fondo nella mia mente é la caparbia e sfortunata esistenza del pittore, che prima tenta un percorso da aspirante sacerdote, poi lavora a supporto del commercio d'arte con il fratello Theo, ed infine a 27 anni decide di fare l'artista, morendo però suicida a 37 anni. 
In soli 10 anni di attività, il percorso artistico e psicologico compiuto dall'uomo è impressionante: prima il grande impegno nell'imparare a disegnare, poi il passaggio alla pittura, l'appassionato attaccamento ai temi rurali, espressione dei veri valori della vita, il trasferimento in Francia per affinare la sua arte sulla scorta delle tendenze dell'effervescente scena parigina, le amicizie con gli altri pittori, Gauguin su tutti. 
Poi, il distacco da Parigi verso Arles, questa volta alla ricerca dello stile personale, che ottiene mediante un attento studio dell'utilizzo del pennello e della composizione cromatica: in particolare, non mischia i colori, ma li accosta con tonalità complementari, riuscendo a generare effetti visivi unici.
Ad Arles si sente felice, abita in un edificio che definisce la sua casetta gialla, dove gioisce nell'ospitare i suoi amici per presentare loro i quadri che dipinge. 
La felicità, raggiunta con grande fatica e impegno personale, ma anche con il costante sostegno economico del fratello Theo, é però minata dallo stato di salute, patendo Van Gogh di profondi stati di disagio mentale e depressivo e di attacchi epilettici. Commuovono, dunque, i quadri dipinti all'interno di un sanatorio dove lui stesso aveva chiesto di essere ricoverato per curarsi. Il bisogno di dipingere e di proseguire nel suo percorso artistico, lo portano a ritrarre le stanze della casa di cura, le finestre, le viste del giardino attraverso di esse, ma anche a ricopiare su tela piccole incisioni di altri artisti: tutto, pur di dipingere e "strutturare il tempo", per evitare di sprofondare nello sconforto, nell'apatia intellettuale e infliggere il suo malessere agli altri pazienti.
I suoi quadri si fanno ancor più personali, specchio del modo tutto suo di vedere i risvolti dell'esistenza. Sembra quasi 
aggrapparsi alla vita, enfatizzandone gli aspetti più primordiali.
Gli ultimi lavori hanno, infine, un valore quasi seminale per le generazioni a venire, come se sembrasse finalmente aver carpito il segreto dell'esistere. La sua caparbia lotta per diventare l'artista che voleva essere, é giunta a compimento.
Il quadro de "Il seminatore" é il suo testamento in immagini, ed emoziona come pochi altri.
Di lui ci restano anche centinaia di lettere scritte al fratello Theo, suo protettore e confidente, dalle quali emerge con affascinante gradualità l'evoluzione del suo pensiero, delle sue ambizioni, delle sue fragilità profonde, del sacrificio compiuto a scapito del suo tragitto di uomo comune - di potenziale padre e compagno - per scavare dentro se stesso e dentro le sue doti artistiche, fino ad afferrare il valore assoluto delle cose.
Il suicidio, frutto certamente del suo squilibrio mentale, interrompe a soli 37 anni, una vita che in soli 10 anni aveva di fatto già dispiegato tutta la sua immensa potenzialità. 
Per una coincidenza oppure no, dopo solo sei mesi moriva anche il fratello Theo, lasciando la moglie con un bambino nato da poco. Quel Williem che avrebbe in seguito fondato il museo Van Gogh, da cui esco riappacificato con me stesso e rigenerato dalla portentosa vicenda artistica e di vita dell'amico Vincent.