11.11.09

Vivere per lavorare o lavorare per vivere

Quanto ciascuno di noi decida di sacrificare del proprio tempo a disposizione per dedicarsi al lavoro è una scelta che prima o poi tutti siamo chiamati a compiere.
Poniamo ovviamente il caso in cui il reddito da lavoro sia un'entrata imprescindibile per la sussistenza minima necessaria, escludendo quindi coloro che scelgono di ritirarsi a vita privata potendo contare su altre entrate (patrimoni familiari, altri redditi del nucleo familiare, rendite finanziarie o altro).
Si tratta di una scala di priorità che nelle diverse fasi della nostra vità pone il lavoro sui gradini più alti o più bassi delle nostre occupazioni quotidiane (svago, famiglia e il lavoro, appunto). E' spesso l'ambizione personale a fare la differenza. L'ambizione personale è nutrita dal bisogno di realizzarsi, dalle gratificazioni economiche, dall'ebbrezza che può dare l'accedere a posizioni di potere più o meno di spicco.
L'investimento di energie nella sfera privata si traduce spesso in un arricchimento di capitali che fanno parte di noi: la famiglia, la nostra cultura, i nostri interessi, i nostri rapporti sentimentali, il nostro ambito sociale.
Le energie spese per il lavoro bruciano più rapidamente la nostra vita, sì producendo ritorni più immediatamente tangibili in termini di ricchezza o di soddisfazione professionale, ma nel contesto di salvaguardia e sviluppo degli interessi altrui.
Così, fa riflettere il notare quanto in modo relativamente rapido si finisca per occupare un posto gratificante per il nostro ego, e quanto altrettanto rapidamente si venga messi da parte e dimenticati al momento dell'ingresso in pensione, quando lasciamo il mondo del lavoro per tornare alla sola sfera privata.
Ho visto tante persone che, elevate sul piedistallo del potere e permeate dell'alone del finto rispetto che porta tale posizione, ne sono scese in tutta fretta per essere rapidamente accantonate e dimenticate, dopo aver consumato tanto tempo ed energie per il mantenimento della posizione acquisita.
Per dire: è una società estremamente crudele, che striglia e nutre i propri cavalli da corsa finchè hanno forze e classe per vincere le gare, ma che non serba riconoscenza e non si fa scrupoli nell'abbandonarli alla loro vecchiaia, ormai non risultando più utili alla causa del profitto (e dal punto di vista di chi produce ricchezza per il Paese è purtroppo giusto così).
Ma fa effetto vedere uomini che dall'oggi al domani passano da un costante tributo di gloria ed onori ad un ultimo brindisi o trafiletto di ringraziamento, che il giorno dopo è già dimenticato e archiviato per sempre.

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