31.5.13

Il paese Earth

Sono sempre stato molto critico verso le forme di aggregazione socio-economico o geografiche ispirate da dimensioni ristrette e riduttive. La famiglia, la città, finanche il quartiere, il Paese. Mi sta stretto sentirmi definito in quanto parte di un raggruppamento socio-organizzativo di persone (senza sfiorare ovviamente in questa sede, l’aspetto affettivo ed emotivo, che ovviamente caratterizza e dà estremo valore ad un legame familiare).
Parlo invece della dimensione puramente di organizzazione sociale, che fa sì che ogni essere umano tenda a sentirsi quasi paladino del raggruppamento cui appartiene. Quante volte difendiamo con i denti privilegi di cui può disporre il nostro nucleo familiare e non ci curiamo di un disagio presente invece in un altro nucleo? O ancora, con quanto accanimento e patriottismo (che vecchiume etimologico...!) difendiamo con veemenza usi e comportamenti del nostro Paese, criticando e quasi osteggiando quelli di una nazione “rivale”? Od ancora, non è forse costume che gli abitanti di un quartiere ne elogino i pregi magari sminuendone i difetti, ed allo stesso tempo si scaglino contro altri quartieri in possesso di caratteristiche sociali o culturali diverse?
Mi sembra invece che sia molto meno diffuso l’orgoglio di essere abitanti della terra, lo sforzo di difendere con tenacia il progresso civile che l’uomo ha perseguito nel mondo, il coraggio di vedere se stessi nell'altro. Con campanilismo quasi calcistico, i Paesi si confrontano e si osteggiano a livello politico, incapaci di trovare una sintesi nell'interesse della collettività tutta. Ugualmente, gli uomini danno il meglio di se stessi all’interno della propria casa (e non sempre...) e poi si proiettano nel mondo esterno con un’avversità viscerale verso gli altri simili. O penso all’obsolescenza dei confini geografici, delle dogane. Al razzismo di una città del nord verso una del Sud o viceversa.
E se tutto saltasse, se si potesse passare dall’Italia all’Austria senza avere alcuna visibilità di un'insegna che sancisca tale passaggio? E se l’Italia e l’Austria cambiassero nome e, magari insieme agli altri Stati, ne adottassero uno comune (che so, world, earth o simili). Allora verrebbero eletti organismi politici transnazionali. Le zone a minore ricchezza di risorse troverebbero fondi per lo sviluppo nelle economie più fortunate. Le razze si integrerebbero più facilmente. In ognuno di noi ci sarebbe l’orgoglio di sentire nostri tanto il monte Everest che le cascate del Niagara, la foce del Nilo e, perchè no, i suggestivi cieli dei Poli.
Una grande, enorme utopia la mia, che mi aiuta però a pensare che se soltanto l’uomo lo volesse, potrebbe sentirsi molto ma molto più libero e felice.

25.5.13

La guerra degli U2


Ricordo il 1983 non solo come l'anno in cui ho raggiunto la maggiore età, ma anche quello in cui è stato pubblicato dalla rock band U2 il disco "War".
A riascoltarlo oggi, mostra ancora integra la sua potenza innovativa, la sua creatività, il giusto compromesso fra liricità e impatto commerciale. Una sequenza di pezzi che alterna brani poi entrati nella storia del rock (Sunday Bloody Sunday, New Year's Day, su tutti) ad altri la cui freschezza stupisce ancora oggi dopo trent'anni (Like a Song, Surrender).
Un disco che va riascoltato sempre. Un gioiello per guardare avanti.

22.5.13

Angeli armeni


Sto leggendo "I quaranta giorni del Mussa Dagh" di F. Werfel. Una corposa ricostruzione epica e romanzata di un episodio di resistenza armena contro le iniziative di deportazione e sterminio avviate dal governo turco nel 1915. Ne trascrivo un passaggio:

Ci sono due sorta di uomini. Gli uni sono gli animali umani, miliardi! Gli altri, gli angeli umani, saranno mille, o nel migliore dei casi diecimila.
Agli animali umani appartengono anche i grandi del mondo, i re, i politici, i ministri, i generali, i pascià, così come i contadini, gli artigiani, gli operai. [...] Hanno in mille forme una sola occupazione: fabbricare fango! Perché la politica, l’industria, l’agricoltura, l’arte militare, tutto questo è forse altro che fabbricazione di fango, per quanto essa possa essere necessaria? Se tu togli il fango all’animale umano, nella sua anima rimane la cosa più terribile, la noia. Egli non regge più con se stesso. E da questa noia viene tutto il male, l’odio politico e la carneficina.
Negli angeli umani invece vive l’entusiasmo! [...] L’entusiasmo degli angeli umani è la stessa cosa che il cantico degli angeli veri [...]. Ci sono angeli umani che tradiscono se stessi, che vengono meno a se stessi. Ma per questi non c’è misericordia, non c’è grazia. Ogni ora si vendica su di loro…

17.5.13

I nostri limiti

Là dove incontriamo una resistenza invalicabile a procedere nei nostri intenti, è là che difetta la nostra volontà ed inizia la nostra debolezza e finanche la nostra vecchiaia.

15.5.13

Modi di viversi

Viviamo stritolati dall'egocentrismo del prossimo, che ci sottrae l'effetto benefico di cui potremmo invece godere se ciascuno di noi vivesse con interesse reale per l'altro.
Quindi, si tratta di una lotta continua per difendere i nostri spazi, i nostri valori, il nostro modo di essere da quello che gli altri cercano a loro volta di far prevalere o di imporre.
Vincono, allora, coloro che risultano più spregiudicati, arroganti, prevaricatori, superficiali, perché non incontrano limiti nel loro temperamento per condurre in porto vittoriosi questa battaglia.
Ben più faticosa è invece la condotta per chi si attiene alle regole antiche dell'onore e della dignità del proprio vivere.

7.5.13

Lo sport fa bene

Su un aereo, osservo un passeggero che si dedica alla lettura di un quotidiano sportivo. Penso che perdersi un’ora fra tante notizie di limitato impatto esistenziale, giovi al benessere personale più di quanto si possa credere.

3.5.13

Romana vita mondana

Mentre percorro una strada romana in un tiepido pomeriggio di inizio primavera, capto una conversazione telefonica di una passante che sta proponendo al fidanzato/marito di partecipare insieme ad un aperitivo serale a Fregene (modaiola località balneare, prossima alla Capitale), al quale è stata invitata poco prima da un'amica.
Tiro avanti inorridito da tanta necessità di omologazione.

Castelli

Tolse la tovaglia cerata che proteggeva il tavolo di legno. Una piccola piega poteva essere insidiosa per l’equilibrio strutturale. La mamma sarebbe tornata entro un’ora, gli aveva detto, e lui aveva deciso di approfittarne per erigere il più alto castello di carte da gioco che fosse mai stato realizzato.
Entrò nella sala da pranzo e da un antico cassettone estrasse quattro mazzi di carte. Erano quelle dei grandi, rosse e nere, consunte dalle interminabili partite serali dei genitori con gli amici. Meglio se un po’ rovinate: i bordi ispessiti ne avrebbero migliorato la stabilità. Tornò in cucina e si mise all’opera.
Disponendo le carte l’una perpendicolarmente all’altra, la struttura iniziò a prendere forma. Quando aveva visitato Parigi con i suoi genitori, la Tour Eiffel lo aveva particolarmente affascinato e in seguito ne aveva spesso immaginato i lavori di costruzione, che pezzo dopo pezzo, avevano dato forma ad un’arcata, a un piano, ad un fregio. E aveva sorriso al pensiero dello stupore dei visitatori che avevano potuto festeggiarne l’inaugurazione.
Le carte si appoggiavano le une alle altre. Paretine verticali inframezzate da montanti obliqui e da coperture simmetriche. Le piccole mani si muovevano con sapiente prudenza, appoggiando ogni carta con la leggerezza del posarsi di una farfalla su un fiore.
Un piano, due piani, tre piani. Arrivò un momento che la torre era troppo alta per lui. Con difficoltà avrebbe potuto aggiungere ulteriori piani. Salì allora su una sedia per una prospettiva da adulto. Ebbe così la possibilità di aggiungere altri quattro livelli. Spesso tratteneva il respiro quando una carta scivolava dalla sua posizione originaria, e trasaliva per la paura che ne urtasse un’altra a sua volta portante, rischiando di far venir giù tutto in un fragoroso crollo.
Infine completò l’opera, posizionando due carte appoggiate in verticale, l’una contro l’atra, a formare un tetto. Tutto sembrava reggere. Con delicatezza scese dalla sedia e l’allontanò dal tavolo spostandola nei pressi della finestra. Poi vi si sedette, rimanendo qualche minuto fermo in silenzio ad ammirare la sua opera, la sua Tour.
Fu la mamma che tornando a casa, nello spalancare la porta al vigore di una giornata ventosa, causò un improvviso turbinio di picche e fiori, di regine e di fanti, scatenando il più frusciante e colorato dei crolli. In un attimo la torre trasmutò in un variopinto tappeto plastificato, mentre il bambino assisteva attonito al nuovo panorama. Non ascoltò le scuse accorate della donna, ma si chinò in terra con pacata rassegnazione e, una volta ricostituiti i mazzi, riprese a posizionare con delicatezza e pazienza le carte secondo un criterio già sperimentato.