23.6.05

Dove va il cinema?

Non mi considero un esperto di cinema ma un appassionato sì.
Non saprei ricostruire a memoria le cinematografie di questo o di quell'autore, non ho in dote una memoria che mi aiuti a trattenere nel tempo le trame delle pellicole viste, nè soprattutto saprei interpretare un film traendone spunti stilistici, tecnici o comparativi.
Mi considero però un appassionato: nel senso che il posizionarmi davanti ad uno schermo per seguire lo sviluppo di una trama per due ore circa, mi suscita appunto sentimenti di passione, di sincera emozione e trasporto. Da qui, il gusto nel recuperare le copie dei film dei registi preferiti o i libri ricchi di critiche e fotografie: tutto questo per fare quelle immagini mie per sempre.
Da appassionato, incontro tuttavia sempre maggiori difficoltà nel trovare soggetti realmente coinvolgenti e che soprattutto mi emozionino. Troppo spesso il progetto di un film sembra studiato a tavolino per cogliere ben precisi obiettivi, siano essi di commercializzazione, di intellettualismo o di un misto dei due, che forse è la cosa peggiore.
I film sembrano così tutti perfettamente classificabili: c'è la commedia a sfondo romantico, quella a sfondo comico-demenziale, c'è il thriller, c'è l'horror, c'è la cinematografia orientale con i suoi melò molto curati ma spesso molto noiosi, c'è la cinematografia italiana ormai cronicamente convergente su prodotti-fiction di ambientazione borghese e di stampo para-televisivo.
Ovvio, è abbastanza logico che un film trovi una sua catalogazione da parte della casa che lo produce o da parte della stampa che lo presenta. Ma il tutto sembra quasi che avvenga a priori, in modo preconfezionato. Ciò pregiudica la naturalezza della sceneggiatura e soprattutto ne penalizza i contenuti, che si appiattiscono su schemi ripetitivi.
Non amo particolarmente il cinema americano di questi ultimi anni. Mi irrita il sottofondo moraleggiante che lo caratterizza, mi irritano i luoghi comuni di cui è zeppo, i dialoghi mai naturali ma sempre enfatici e recitati/doppiati a ritmi frenetici. Ugualmente mi infastidisce l'abuso di piani temporali sovrapposti e di un ermetismo artificialmente volto a mantenere desta fino alla fine la suspence dello spettatore, così però confondendolo con mille dettagli inutili che allentano la tensione emotiva. La suspence come surrogato di una trama evidentemente non troppo avvincente in sè.
Mi piacerebbe invece vedere storie molto lineari, semplici nello sviluppo narrativo ma profonde e complesse nei sentimenti e nelle atmosfere che le animano. Vorrei appassionarmi alla vicenda (in fondo un film deve raccontare una vicenda) senza dovermi scervellare per fare faticosi collegamenti fra minuziosi dettagli sparsi ad arte fra i metri del film.
Vorrei che potesse ancora nascere qualche grande regista, un altro Hitchcock, un altro Renoir, gente che faccia la storia del cinema, che racconti grandi storie e che non si limiti ad esercizi di stile od a costruire macchine da soldi.
O meglio, il cinema continuerà sempre a produrre film che portino soldi, perchè è di soldi che si nutre. Una volta però con i soldi gli spettatori compravano belle storie, trame coinvolgenti e poetiche, energie di lotta e slanci di impegno sociale; oggi acquistano prodotti senza coraggio, fiacchi nell'impegno del regista e dello sceneggiatore e, di conseguenza, fiacchi nelle emozioni che suscitano.

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