11.10.07

La poca percezione del sè

Ascoltando, come spesso mi capita, le lamentele di persone scontente della propria situazione personale e professionale, mi accorgo come molti non abbiano alcuna percezione dell'opinione che suscitano nell'ambiente circostante o nei loro interlocutori.
Penso si tratti di scarsa capacità di autoanalisi o poca disponibilità a mettersi in discussione. E forse non sufficienti doti di empatia.
Un primo caso riguarda le tante persone afflitte dalla logorrea. Quando mi trovo travolto da un fiume innarrestabile di parole e di concetti ripetuti quattro, cinque volte, se non il raziocinio almeno l'espressione afflitta e prigioniera del mio viso dovrebbe servire a suggerire a chi mi sta di fronte che l'insistenza nel trattare un argomento ha superato i limiti del buon senso.
Un altro esempio è rappresentato dalle persone che si ritengono dotate di capacità e stili comportamentali da portare a modello e che invece la generalità dell'ambiente circostante assolutamente non riconosce loro.
Ciò quindi determina una forte discrasia fra le giuste aspettative di questi e la disapprovazione che inaspettatamente ne ricevono in cambio.
Anche in questo caso parlerei di difficoltà a mettersi in discussione o a scendere da un piedistallo sul quale si è saliti ma senza l'incoraggiamento di nessuno.
Mi ripeto dicendo che è più faticoso di quel che sembri raggiungere una efficace e ragionevole interazione con il mondo circostante, ove la percezione di se stessi sia costantemente oggetto di attento monitoraggio e severo governo.

18.7.07

Tasse evase

Le difficoltà che incontrano le Autorità politiche e di controllo nel combattere l'evasione fiscale nei suoi diversi profili, rischia di ingenerare il dubbio che vi sia dietro la non volontà ed il timore di aggredire in termini concreti gli interessi di molte lobbies professionali e commerciali sulle quali si concentra il fenomeno dell'evasione.
Non sarebbe questa una vox populi, se non fosse palese sotto gli occhi di tutti e nel quotidiano che viviamo, la facilità con cui professionisti, artigiani, esercenti, tendono ad aggirare le norme tributarie, peraltro molto articolate e puntuali. E' quindi naturale spostare il problema dal lato normativo a quello dei controlli, massicci per le forze a disposizione ma comunque insufficienti a svelare un mondo purtroppo tuttora sommerso.
Il problema rischia di esplodere in termini di rivalsa sociale: un lavoratore dipendente, che subisce il prelievo alla fonte da parte del suo datore di lavoro fino a vedersi decurtata la propria retribuzione finanche del 50%, fino a quando tollererà un sistema che sembra impotente e in balia di tanti ladri? Nè è risolutivo abusare dell'impegno dei cittadini onesti nel denunciare le evasioni altrui, facendo ricadere sugli stessi l'onere di un trasparente funzionamento del sistema tributario,la cui responsabilità dovrebbe invece spettare alle Autorità a ciò preposte.
Se il problema è di forze umane a disposizione di tali Autorità, vista l'alta disoccupazione nel Paese non dovrebbe essere difficile individuare persone mediamente in gamba da retribuire con una minima parte di quanto da loro recuperato. Se invece, come penso, c'è una cronica difficoltà a sovvertire interessi di casta che sfociano nella politica a tutti i livelli, il tutto si riconduce ad un problema culturale e di valori.
Ancora una volta appare cioè indispensabile potenziare il sistema educativo e scolastico, al fine di porre i semi per una nuova classe politica, che non si renda complice di una spregevole sopraffazione di valori così elevati quali l'onestà e la democrazia economica.

24.4.07

Senza confini

Dapprima è stato l'interessamento, poi sfumato, da parte di un colosso americano delle telecomunicazioni per la società italiana Telecom. Poi, la candidatura dell'Italia, bocciata dall'organismo UEFA, ad ospitare l'edizione 2012 dei campionati europei di calcio.
Due episodi che hanno suscitato le ira di opinionisti e politici, amareggiati dal trattamento riservato alle cose di casa nostra, oggetto di poco apprezzamento da parte degli operatori internazionali.
Due ordini di considerazioni, l'uno più specifico l'altro più generalista.
1) Fatichiamo a renderci conto che la serietà ed il rigore riscontrabili in Paesi evoluti quanto il nostro sono ben superiori ai livelli da noi sinora raggiunti. Il nostro capitalismo è ancora fortemente legato a logiche politiche e di interessi di parte, in relazione al potere che tale capitalismo genera. Accettare una logica di mercato significa rispettare le regole del gioco, che regalano la vittoria a chi investe di più e meglio, non a chi trama in modo sotterraneo e mafioso.
Ed ancora, come si può essere così ciechi da non vedere l'immagine negativa che grava sul nostro ambito sportivo, dopo che violenza, corruzione e avidità hanno immarcescito l'ultimo refolo olimpico che l'antica Grecia aveva fatto giungere sino a noi? A chi dovrebbero assegnare un torneo prestigioso (ed anche remunerativo), forse all'Italia? Piuttosto, apprezziamo l'utopia di saperlo in mano ad un paese emergente, che ne potrà fare un'occasione per erogare risorse ai suoi abitanti e ricchezza per fragili aziende ancora in fase di industrializzazione.
2) Ma mi trovo sempre più spesso a ragionare di nuovi valori, di nuove geografie.
Quando mai sapremo superare la logica di Paese, di confine, di schieramento? Quando sapremo sentirci cittadini di un mondo unico, uniti tutti verso l'obiettivo di un'affermazione dell'Uomo in quanto tale e non in quanto bandiera di una nazione?
Tutto questo passa per un drastico rafforzamento dei poteri delle Nazioni Unite, ma richiede anche un processo mentale altrettanto importante, teso ad abbattere steccati politici, religiosi, di lingua e di cultura, per trovare nuovi equilibri che, poggiando su basi completamente nuove, puntino ad obiettivi più ambiziosi per l'umanità.
Non credo che sia totalmente utopistica questa posizione, forse futuribile questo sì. Sarà un dono che faranno alla nostra memoria le generazioni a venire, magari quelle dei nipoti dei nostri figli.

2.1.07

In morte di un dittatore

Non essere banali nel manifestare contro la pena di morte non è facile.
Allo stesso tempo, argomento che si presta a molteplici riflessioni e di difficile trattazione. Punto di incontro tra pacifismo, ateismo e religione ma anche punto di dissenso fra religioni. Strumento involuto in mano a società iperevolute o strumento non ancora evoluto in Paesi involuti.
E' allora più facile limitarsi ad uno sfogo.
Dove troviamo il pudore di guardare gli occhi di un uomo al quale stiamo (noi tutti) per togliere la vita? Quale autorità legislativa può sancire la liceità di un omicidio, sia pure relativo ad un dittatore reo di crimini contro l'umanità?
Al comune uomo onesto pare di una durezza insopportabile la pena dell'ergastolo, della libertà negata a vita. Fatichiamo a trovare in essa un senso, giudicandola eccedente qualsiasi sia la colpa da espiare. Ergastolo o pena di morte recano in sè l'aberrazione che scende sull'uomo quando questi usa il raziocinio o ancora peggio il suo sapere legislativo per privare per sempre un suo simile della libertà e della vita.
Eppure c'è chi attribuisce un valore ancora attuale alla legge del taglione, frutto di civiltà ed epoche in cui l'uomo stava ancora compiendo il suo percorso evolutivo che lo ha poi portato a distinguersi nel regno animale, ispirato quest'ultimo a principi di istinto e non di razionalità.
C'è chi ritiene che lo Stato abbia il dovere di estirpare dalla società i criminali mediante la soppressione fisica.
C'è chi sottovaluta l'urgente necessità di promuovere il risanamento dei fattori economico-ambientali, storici, religiosi, culturali che conducono a tale atteggiamento criminale.
Spero che gli stessi almeno non fingano di non sapere che coperto dalla mascherina nera del boia c'è anche il loro volto e che la mano che dà corrente ad una sedia, che inietta la morte ad un condannato, che gli spalanca la botola degli inferi, è la loro.