8.8.12

Padri separati

Sembra strano pensare che tanti anni fa due coniugi che non andassero più d'accordo, erano comunque vincolati all'unione formalizzata tempo prima e che spesso la scelta fosse quella di far buon viso a cattiva sorte, così da mandare tutto avanti, magari con il reciproco chiudere un occhio davanti a condotte del coniuge poco rispettose dell'impegno preso con il matrimonio.
Venne poi il divorzio a sancire la possibilità che il legame potesse finire, e da lì l'imponente sviluppo di tutta la giurisprudenza avente ad oggetto il diritto familiare e le separazioni coniugali.
Oggi sarebbe strano, quasi innaturale, immaginare un accanimento terapeutico che porti una coppia a prolungare il proprio malessere, proseguendo artificiosamente una convivenza, alla fine dannosa per tutti i componenti del nucleo familiare.
Sempre oggi, penso si possa tranquillamente dire che una buona quota parte della popolazione abbia sperimentato la spiacevole esperienza del fallimento del matrimonio, magari anche più di una volta. Gli stessi bambini crescono ormai circondati da coetanei che serenamente si vivono la loro doppia casa, la doppia vacanza, la doppia educazione. L'anomalia diventa cioè modello sociale e viene assorbita nel rassicurante alveo della normalità. Bene così.
Poco mi sembra invece si sia fatto per approfondire i riflessi che una separazione produce sulla figura del padre, che nella generalità dei casi si ritrova, a seguito di una separazione, a dover pagare ingenti alimenti, adattarsi ad una soluzione abitativa certamente peggiorativa della precedente e a dover - soprattutto - privarsi del quotidiano calore ancestrale assicuratogli fino a quel momento dai suoi figli. Nella prevalenza dei casi, infatti, i minori, a tutela del loro sviluppo naturale e biologico, sono infatti appannaggio della donna, che continua ad accudirli mantenendo di fatto presso di sè il nucleo centrale della famiglia.
Gli accordi di risoluzione consensuale, gli affidi condivisi, sono certamente passi avanti verso una potenziale maggiore flessibilità negli equilibri logistici e temporali fra i coniugi chiamati ad una cogestione dei figli.
Mi chiedo però se non possano essere approfonditi - anche a livello di psicologia dell'infanzia - schemi di organizzazione dell'affido, tali per cui anche il padre abbia diritto, a parte le vacanze, ad avere con sè i bambini per un periodo dell'anno sufficientemente lungo (un mese l'anno?, due mesi l'anno?) da garantirgli il mantenimento di una minima quotidianità nel rapporto con i suoi bambini, valore - questo della quotidianità del rapporto - che alla fine dei giochi è la vera, immensa perdita che subisce un padre a seguito di una separazione.

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