27.8.14

Di amore si può morire

Mi colpisce la storia di una persona che ho avuto l'occasione di incontrare dopo molti anni dall'ultima volta che ci eravamo parlati. Ci eravamo frequentati molto da bambini, trascorrendo numerosi pomeriggi estivi a giocare a pallone in una casa di campagna.
Un ragazzo di una famiglia contadina, di modi garbati ma vivace. Poi, crescendo, le strade si sono ovviamente divise ognuno assorbito dai rispettivi e differenti ritmi di lavoro e non più così liberi di dedicarci al calcio o alle esplorazioni della campagna in cerca di more.
Avevo saputo che si era sposato ma che come per molti, il matrimonio non aveva avuto una buona sorte. La moglie l'aveva lasciato e come un personaggio rurale di Verga, lui si era chiuso in se stesso, precipitando in una profonda depressione. Il tutto complicato da un problema di salute non banale, che l'aveva costretto ad un complesso intervento chirurgico ai polmoni. Quest'ultimo malessere l'aveva superato, ma non la depressione, che lentamente aveva finito per bruciargli letteralmente il cervello. 
Oggi rivedendolo quest'uomo mi appare totalmente inebetito. Mi incontra, ma non si ricorda di me. Farfuglia brevi parole incomprensibili. Sorride con lo sguardo perso nel vuoto, immerso in un mondo personale e claustrofobico. Le mie frasi cadono nel vuoto, nessuno dei dettagli che gli fornisco per aiutarlo a ricordarsi del nostro comune passato lo aiuta. Si allontana senza salutarmi. Poi si ferma poco più in lá, sfila di tasca il telefono e scorre la rubrica, forse in cerca del mio nome per poter colmare il vuoto nella sua memoria. Ma non ci siamo mai scambiati un numero di telefono, caro Gabriele...

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