25.3.09

La religiosità di un certo ateismo

Torno sul tema della religione, in giorni in cui il Papa suscita numerose polemiche nel mondo, rilasciando dichiarazioni fortemente provocatorie sul tema della prevenzione della salute ed in particolare dell'Aids.
Le polemiche sorte traggono forza dalla nuova posizione assunta dal capo della Chiesa circa la presunta inutilità di metodi di prevenzione già in precedenza banditi, in quanto di ostacolo alla spontanea procreazione.
Che la Chiesa si attesti su posizioni contrarie agli anticoncezionali è noto ed anche condivisibile nella specifica visuale dei principi cattolici di sacralità di ogni forma di vita. Ciò che dispiace è che ancora una volta sia stata ribadita una profonda frattura sociale fra la sfera della religione e quella della scienza e del sociale, che porta in questo caso la stessa Chiesa a negare basilari principi scientifici e medici che sono alla base dei punti di riferimento di cui la società dispone per contrastare la diffusione di gravi epidemie.
Bene fa il Papa a ribadire le rigide posizioni del Clero sulle teorie morali afferenti appunto alla fecondazione, all'eutanasia o alla pena di morte. Su regole morali è giusto che la Chiesa esprima il proprio credo, condivisibile o meno che sia, proponendosi come baluardo fermo ed immutabile contro un progresso che troppo spesso diviene degrado di principi e valori.
Ma relativamente ad aspetti deterministici di collegamento malattia/contagio/prevenzione, la preminenza delle verità mediche non può essere messa in discussione con tanta facilità, finendo in tal modo per esasperare posizioni di scetticismo nella popolazione che viceversa sarebbero state almeno compensate da un sincero e convinto attaccamento ai valori cristiani elementari.
Così come, al contrario, andrebbe colta e valorizzata la forte affinità con molti principi della Chiesa dimostrata da coloro che pur definendosi atei convinti, dimostrano nei fatti profonde similitudini di approccio e fratellanza con il prossimo, secondo il credo della comunità cattolica o più, in generale, cristiana.
L'estremismo del 'bianco o nero', sembra dover cedere il passo ad una più profonda valutazione delle molte zone grigie che da un lato tormentano l'animo dei credenti disconosciuti e dall'altro destano intime riflessioni in quello degli atei, favorendo così lo sviluppo di una più articolata e complessa interpretazione dei diversi punti di vista, a favore di una migliore difesa dei veri valori umani che nobilitano la vita che ci è stata donata (per alcuni da Dio, per altri da Madre Natura).

23.3.09

S.O.S. cercasi un bel libro

Con grande fatica e sforzo di volontà cerco di difendere qualche mezzora della settimana per continuare a leggere libri. Se potessi tornare indietro all'adolescenza, quanto sfrutterei di più quegli anni in cui la mente è sgombra di pensieri e assorbe tutto con estrema facilità! Oggi leggere un libro mi richiede indicibili sforzi di concentrazione oltrechè il sacrificio di privarmi di altro che magari sarebbe esperienza ben più riposante.
Ma la ricchezza che dà la lettura di un libro, non la dà l'ascolto di una canzone o la vista di un quadro. Lo sforzo che fa la mente per calarsi in una storia, nella psicologia dei suoi personaggi, nella tensione della trama che vi si sviluppa, forniscono stimoli insostituibili alle nostre esistenze banali.
Però c'è un "ma".
Se da un lato siamo sommersi dai libri che vengono pubblicati ogni giorno e tra i quali ci smarriamo entrando in una libreria, dall'altro mi sembra sempre più difficile incappare in un libro che mi soddisfi pienamente.
So di essere forse troppo esigente, di evitare i best seller che mi ispirano un sapore di produzione industriale, di non avere una particolare passione per i gialli e la fantascienza, di cercare dei libri da portarmi dentro per sempre.
Per me la prima cosa che conta è la trama. Una trama semplice e lineare, ma avvincente ed originale è alla base di un bel libro.
Mi sembra però che vi sia una crescente tendenza a sviluppare trame contorte e di non immediata comprensione, come se al lettore al pari di un investigatore si richiedesse lo sforzo di decifrare flebili indizi sparsi qui e là dall'autore per riuscire a dare un senso ai vari capitoli, pena il sentirsi inadeguati o intellettivamente inferiori. E' qualcosa che accade anche nei film e che mi indispettisce molto.
Per non parlare del numero esagerato di personaggi che vengono introdotti nella storia, ma che spesso finiscono per essere un mero riempitivo, non sentendosi alcuna necessità reale della loro presenza nella trama.
Poi c'è la poesia, che dovrebbe emozionare e far volare il lettore a prescindere dalla trama in sè.
Ma anche qui, spesso, mi trovo ad avere a che fare con libri noiosi, freddi come se fossero stati studiati a tavolino. Magari perfetti nello stile, ma incapaci di cogliere il senso poetico che sarebbe richiesto da una storia anche se molto semplice.
Poi, se una trama ben sviluppata ed avvincente si sposa con uno stile fluido ed una narrazione poetica, allora si può ben parlare di un capolavoro, ma siamo già un bel pezzo avanti, giacchè non è facile trovare scrittori che risultino eccellere nell'uno e nell'altro aspetto.
Così, ogni volta che inizio un libro, purtroppo non molti nell'anno, lo faccio con la speranza che sia quello giusto, che magari mi possa restituire le emozioni della lettura che provai quando ragazzino lessi Steinbeck, Kafka o Hesse, o che riassaporai quando, ormai grande, mi imbattei nei libri di Moravia, Saramago o Maggiani.
Sorrido ora, quando mio figlio di tre anni mi viene incontro chiedendomi con gli occhi assetati di sapere "papà, mi leggi un bel liblo?".

18.3.09

I misteri del caffé

Milioni di persone, soprattutto italiani, sono soliti concedersi un caffé a conclusione di un pasto, generalmente quello di mezzodì.
Non è chiaro se ciò sia: a) frutto di un'abitudine; b) utile al processo digestivo; c) espressione di un inconscio attaccamento alle tradizioni popolari; d) espressione del desiderio di degustare il sapore della bevanda; e) un mix di tutte queste cose.
Trovo però fastidiosi l'assembramento di gente che tenta di rubarsi lo spazio davanti al bancone dove vengono serviti i caffè o la fantasia degli avventori che richiedono al barista le più complesse combinazioni tra tazza, tazzina, vetro, con schiuma o con cremina, macchiato, lungo o ristretto, tazzina calda o tazzina fredda, etc., ed ancor più mi respinge il veder rimescolare la tazzina per raccogliervi gli ultimi fondi prima della sorsata finale. Senza dimenticare la sonnolenza che immediatamente mi pervade non appena ingurgitata la densa e schiumosa miscela, che dovrebbe eccitare ed invece deprime ancor più i già offuscati sensi del dopo pranzo.
Eppure, ogni volta mi ritrovo lì ad assecondare la proposta di qualche amico che mi invita a prendere un caffè con lui.

16.3.09

Quando una città diviene cosmopolita

Se ci guardiamo indietro, la trasformazione subita da Roma (ma gli stessi argomenti possono ben applicarsi a molte altre città) negli ultimi venti anni trova la sua maggiore espressione nell'elevato numero di cittadini di altre razze e paesi che l'hanno scelta, o hanno dovuto sceglierla, per viverci.
Roma, per sua natura, ha sempre faticato a acquisire una dimensione internazionale o, quantomeno, mitteleuropea, a differenza ad esempio di Milano. Ciò per effetto di fattori oggettivi (la sua collocazione geografica più esterna al circuito degli affari transnazionali ad esempio, o la minore attitudine del suo tessuto economico-sociale allo sviluppo infrastrutturale e dei servizi), ma anche soggettivi, quale può dirsi un certo orgoglioso attaccamento localistico al proprio passato ed alle proprie antiche ed epiche origini.
Eppure, nell'ultimo ventennio il distaccato disincanto dei suoi abitanti ha favorito una crescente coesistenza con gente di tutto il mondo. Profughi provenienti dall'est europeo, dall'Africa, dal Sudamerica o dall'Asia, Paesi dalla cui prospettiva Roma appariva comunque una terra promessa, magari di serie B perchè anch'essa piena di problemi e di disagio sociale, ma comunque appetibile agli occhi di tanta gente disperata.
Ora che a posteriori il processo è ormai a regime, si può dire però che nel complesso abbia giovato alla stessa città, che dovendo affrontare problemi del tutto nuovi rispetto al passato ha compiuto un passo in avanti verso contesti urbani molto più evoluti su un piano dell'integrazione e della globalizzazione.
Roma sembra oggi non solo molto vicina a Milano - se non più avanti in taluni approcci delle istituzioni verso il problema delle minoranze - ma forse anche più vicina a realtà come New York, Parigi o Londra, che il medesimo cambiamento lo hanno affrontato e metabolizzato decenni prima.
L'aumento della violenza (reale o strumentale alle parti più reazionarie?), la dispersione di valori e culture locali, non devono far perdere di vista il fatto che aspetti positivi ben di maggiore portata stanno accompagnando questa epoca di migrazioni, trasformando Roma, come le altre città italiane, in "città del mondo", con impagabili vantaggi in termini di avvicinamento ad un reale venir meno delle barriere fra i paesi ed i popoli.