30.4.12

L'Adagietto di Mahler

Dopo tanto tempo mi è capitato di riascoltare il celebre Adagietto che Mahler compose come quarto movimento della sua bellissima Sinfonia n. 5.
Non sono un esperto di composizione classica e quindi non mi sbilancio in valutazioni tecniche o critiche. Mi limito invece ad affermare che, almeno per i miei gusti, questo brano - appena 12 minuti scarsi – raggiunge l’anima dell’ascoltatore come poche volte avviene quando si ascolta la musica.
L’avevo conosciuto in un cineclub quale colonna sonora del film “La morte a Venezia” di Luchino Visconti. Come molti, probabilmente. Da allora lo riascolto ciclicamente ed ogni volta che lo riascolto, compio un viaggio sovrannaturale che mi emoziona fino alla commozione.
Ascoltatelo comodamente stesi, abbassate le luci e chiudete gli occhi, lasciandovi trasportare soltanto dalla musica che raggiunge le vostre orecchie in modo così sommesso e diretto.
Per 12 minuti riuscirete a tenere spenti i cellulari e a trascurare i doveri, no? L’Adagietto di Mahler lo merita.

22.4.12

Terziario senza pace

La recente riforma di legge nel mondo del lavoro mi impone una riflessione di maggior respiro rispetto a quella di una ristretta visuale problema/soluzione.
Le dinamiche che caratterizzano l’attuale mondo del lavoro hanno assunto una dimensione preoccupante se paragonate a quelle di soltanto 6-7 anni fa. Che i processi in atto da tempo nel mondo del terziario dovessero produrre prima o poi un’onda lunga era abbastanza prevedibile. Dai primi anni novanta tale settore è stato attraversato da una crescente tendenza alle fusioni, alle ristrutturazioni societarie, alle razionalizzazioni nelle diverse voci di spesa, incluse quelle relativa ai costi del personale.
L’obiettivo di tale processo era del tutto condivisibile: prevenire la crescente competitività sul piano nazionale e internazionale, derivante da un lato dall’assottigliamento dei margini reddituali, dall’altro dalla tendenza alla globalizzazione dei mercati favorita dalle nuove tecnologie e dalle nuove economie emergenti.
Il processo che si è innescato nell’ultimo ventennio è stato impetuoso, costante e continuo, portando il mondo dei servizi a ideare, progettare, pianificare e realizzare una serie infinita di fusioni, acquisizioni, scorpori di rami d’azienda, esternalizzazioni di attività non core, privatizzazioni di aziende statali.
Peccato che agganciati alla sfera di tali operazioni societarie ci fossero milioni di lavoratori dipendenti che nel loro piccolo avevano incrociato i loro destini professionali e di sussistenza economica con le aziende coinvolte dalle stesse operazioni. Questo enorme contingente di storie umane si è trovato giocoforza a dover fare i conti ed accettare cambiamenti nel loro percorso di vita, che probabilmente mai avrebbero immaginato o scelto di affrontare. Fin qui, tutto regolare. Si sa: l’imprenditore tiene le fila e decide come produrre, dove produrre e con quali mezzi produrre, economici e umani.
L’uomo d'azienda ha così iniziato un peregrinare da un datore di lavoro all’altro, in un vorticoso mutare di carte intestate, capitali sociali, biglietti da visita, recapiti postali o email, sedi lavorative, finendo per assomigliare sempre più ad una scrivania, ad un mobile, piuttosto che ad un professionista specializzato, ad un impiegato o ad un manager.
La patologia di questi processi di accorpamento trova ovviamente il suo punto debole nel fatto che la messa in comune di due o più aziende genera sinergie di costo significative e la possibilità di fare con due persone quello che magari nelle aziende originarie si faceva con tre. Da qui la necessità di prevedere un futuro per il terzo incomodo, che volente o nolente si viene a trovare improvvisamente ad essere di troppo.
Le aziende più virtuose affrontano questo delicato processo con assessment volti ad individuare possibili utilizzi alternativi del signore in questione, il quale collocato in altri ambiti può nuovamente contribuire al reddito d’impresa e guadagnarsi il suo prezioso stipendio. Aziende meno virtuose, invece, magari per minori margini di operatività, non attivano questo processo, ed il signore in questione finisce, quando è fortunato, a svolgere attività di minore soddisfazione e, nei casi peggiori, a rischiare una progressiva esclusione dalle sorti aziendali e infine dall’azienda stessa. Soprattutto, viene da riflettere come a differenza della situazione di un tempo, oggi un lavoratore dipendente venga frequentemente messo nella condizione di dover riconsiderare il suo futuro professionale a prescindere da suoi meriti o demeriti professionali.
Allora, cosa suggerire ai nostri figli che stanno per impostare il loro percorso di studi o stanno affacciandosi sul mondo del lavoro dipendente? Resta oggi così determinante questa scelta iniziale o è preferibile sviluppare competenze personali di flessibilità, temperamento, capacità di mettersi in discussione e di adattarsi a contesti in costante cambiamento?

7.4.12

E se il 3D fosse usato in modo diverso?

Negli ultimi anni, da padre, ho avuto modo di seguire con buona assiduità la programmazione cinematografica per bambini. In genere, tutti facciamo questa riscoperta dopo che, trascorsa la nostra infanzia, questo genere di film viene un pò accantonato, in attesa appunto di diventare genitore e di tornare ad averne bisogno. Questo, a meno di una specifica passione per il genere, possibilità che però considero obiettivamente non comune.
In questi anni ho assistito alla nascita del famigerato 3D, sempre più sfruttato dai produttori e dagli esercenti per accrescere l'interesse della platea per un film, magari non eccezionale. Ed è quasi un piacere osservare la folla di bambini seduta nel cinema, rapita da vicende presentate in modo molto realistico e curato, quasi da sembrare reale. Attenzione maniacale al particolare, all'effetto speciale, alla caratterizzazione del personaggio, alle battute ironiche, quasi per adulti, ai dialoghi molto moderni e hollywoodiani. Prodigi dell'era della computer graphic.
Mi sembra però che sia ben più rara l'attenzione che viene dedicata alla poesia della storia, al messaggio sottostante, all'incisività di un personaggio che resti un punto di riferimento nella memoria spugnosa del bambino. La delicatezza di personaggi, trame, musiche, sembra una cosa del passato, morta e sepolta. Non dico Cenerentola, Biancaneve o gli altri Disney,  ma persino Heidi e Goldrake avevano una incisività  raramente raggiunta dai moderni film d'animazione (forse Il Re leone, Up e pochi altri).
Ed oggi anche le musiche sono ritmate, americane, rock, dozzinali. Proprio oggi, al cinema, ad un certo punto ho colto "London Calling" dei Clash..!!!! Ma si può mettere un brano punk-rock (per quanto celebre) a colonna sonora di un film a cartoni animati, soltanto perchè la scena si sposta nella città di Londra...??!!
Unica eccezione, i film di Kayao Miyazaki. Moderni ma strabordanti di poesia, di tratti delicati. Non a tutti piacerebbero, mi si potrebbe obiettare. Va bene, ma perchè non usare la stessa attenzione nel disegnare una trama, piuttosto che limitarsi a scenografie zeppe di artifizi ad effetto e sfondi iperrealistici, su cui montare una colonna sonora martellante e banale?
Allora sì che il 3D potrebbe essere un mezzo straordinario per commuovere, emozionare, spaventare, rassicurare i nostri bambini (ma anche gli adulti).