24.5.11

Auguri Bob!

Oggi è il settantesimo compleanno di Bob Dylan. Lo ascolto da quando ne aveva 45 e ho cercato di recuperare quanto (moltissimo) da lui prodotto in precedenza (compone brani da quando aveva sedici anni).

Da tanto non esce con un disco memorabile (l'ultimo, Time Out Of Mind del 1996), ma lo spirito con cui ha immolato la sua vita per la musica lo rende un artista fra i più significativi del 20esimo e 21esimo secolo.

Senza di lui la mia vita non sarebbe stata la stessa.

Una parola importante

pragmatico[prag-mà-ti-co] agg., s. (pl.m. -ci, f. -che)

• agg.

1 Relativo all'attività pratica: pensiero ricco di contenuti p.

2 estens. Improntato a senso pratico, a concretezza, senza pregiudiziali ideologiche: atteggiamento p.; che bada al concreto, che guarda ai fatti: uomo, politico p.

3 filos., ling. Che attiene alla pragmatica

• s.m. (f. -ca) Persona dotata di forte senso pratico: essere un p.

23.5.11

Quale futuro per i bambini di oggi?


I dati sull'economia italiana non lasciano intravedere alcun segno di ripresa.

Il tunnel che abbiamo imboccato nel 2007 sembra ancora lungo e tristemente oscuro. Il problmea occupazione è drammatico, il mercato del lavoro è asfittico, molti giovani in possesso di pregevoli titoli accademici faticano ad incontrare aziende disposti ad assumerli. Il precariato cresce e con esso aumentano le difficoltà di creare nuove famiglie e di rigenerare la popolazione del Paese con forze fresche su cui investire, di rilanciare i consumi e di conseguenza gli investimenti industriali.

Un loop che sembra senza fine. Guardo i miei figli e come uno struzzo non voglio pensare alle difficoltà che dovranno affrontare per inserirsi nel ciclo produttivo. Mi auguro che avranno la forza d'animo di scegliere l'estero, i Paesi a più alta innovazione, forse con minore stabilità occupazionale, ma dove il merito paga ed è l'unica cosa che conta per tirare avanti.

In questo quadro cupo, non sapendo nemmeno a cosa possa servire investire capitali con tassi di rendimento che si differenziano gli uni dagli altri di pochi decimali di punto senza per questo cambiarci la vita, prendo la decisione di stipulare una polizza di capitalizzazione per ciascuno dei due ragazzi. Un salvadanaio che li metta in condizione, conclusi gli studi, di affrontare un percorso di specializzazione all'estero: una risorsa in più per qualificarsi sul mercato del lavoro, italiano o non.

Allora mi sento più soddisfatto. Sembra che l'investimento abbia più senso, a prescindere se il tasso di rendimento netto sia del 2, del 3 o del 4%. Coraggio, ragazzi!

15.5.11

Casa Moravia

Alle sette e trenta di una tiepida serata romana, ho visitato l'abitazione di Alberto Moravia, ora adibita a Museo. Siamo una quindicina ad esserci prenotati e una solerte guida comunale ci aspetta sotto al portone di Lungotevere della Vitttoria 1.
Un palazzo elegante, non sfarzoso, in linea con lo stile piemontese del quartiere Prati ed in particolare del Rione delle Vittorie.
Una volta transitati per l'uscio dell'appartamento, istintivamente la suggestione del luogo ispira il massimo silenzio e rispetto. Si respira l'imbarazzo delle case visitate in assenza dei padroni, con un vago senso di colpa per l'invadenza.
Quadri. Molti importanti pittori del novecento italiano occupano le pareti delle stanze. Quadri non acquistati da un ricco appassionato d'arte, ma segni di stima e affetto da parte degli stessi pittori per Moravia. Capisci che l'artista Moravia è ben più che uno scrittore: è parte del ventesimo secolo, è espressione degli intellettuali che ne hanno animato gli sviluppi politici e culturali.
Libri. Le stanze ne sono piene. Sono più di diecimila. Ma non una biblioteca strutturata e scientificamente articolata: piuttosto, il piacere di conservare i libri via via letti, occupando progressivamente ogni spazio dedicato della casa. Soltanto in alcuni casi la scelta del posto per i libri non è casuale: la libreria con i volumi sui viaggi, quella con i grandi romanzi russi, quella con i testi sul cinema.
Uno studiolo con la televisione precede la stanza di lavoro. Una massiccia e semplice scrivania di legno sulla quale troneggia la macchina da scrivere. Sembra di vederlo seduto lì a comporre molti dei suoi capolavori. Ed accanto alla scrivania, un divano morbido, comodo, di stoffa grezza, dove spostarsi a riflettere su un'idea improvvisa da sviluppare. Non c'è in quella stanza il terrazzo che ti aspetti. Ma una finestra semplice che è però uno squarcio su una delle più belle viste della Roma lungo il Tevere.
E' in salotto invece che si accede da una porta finestra ad una terrazza semicircolare, anch'essa elegante perchè non sfarzosa nè scenografica. Ma una terrazza comoda, vissuta, a misura di Moravia e della moglie del momento, la Maraini o la Llera. Il salotto era per i pomeriggi; alla mattina il lavoro della scrittura, al pomeriggio spesso un cinema o altrimenti gli incontri con gli amici in quel salotto, dove in un angolo si scorgono le bottiglie di brandy o whisky da offrire. Anche qui, un divano morbido in stoffa grezza e, poi, molte maschere africane alle pareti, a memoria del suo amore per quel continente.
Un corridoio di libri e si arriva infine alla camera da letto. Scarna, essenziale. Non amava dormire, si alzava presto. Ad un lato del letto, al posto di un comodino, un grammofono serviva forse ad acquietare l'animo alla sera.
Dunque una casa molto sobria. Non amava accumulare scartoffie e cose non necessarie. Buttava via molto. Gli unici manoscritti conservati furono riscoperti dopo la sua morte in una valigia ritrovata nelle cantine del palazzo. Qualche inedito o qualche bozza poi superata. Ma nulla più. Dentro di sè Moravia aveva tutto ciò di cui necessitava.

12.5.11

Il carcere è l'unica via?

So che potrà sembrare banale e semplicistico. Però rifletto spesso sul significato che nel ventunesimo secolo può rivestire la pena della carcerazione.
Se la pena di morte viola il basilare diritto umano a vivere, e come tale va osteggiata per definizione, mi chiedo se anche il carcere non debba essere riconsiderato nella sua originaria concezione di privazione della libertà personale.
Non è un argomento che può esaurirsi con poche riflessioni affrettate e superficiali: molti penalisti e intellettuali, con molte più competenze di me e con maggiore tecnicalità giuridica, hanno certamente già riempito tomi e tomi sull'argomento.
Mi limito qui a sottolineare la profonda condizione di permanente sofferenza che viene deliberatamente inflitta a chi si vede condannato alla reclusione, più o meno lunga. - sia pure egli o ella il peggiore degli umani, il più scellerato o abietto, un terrorista o uno stupratore, un pedofilo o semplicemente un truffatore.
Certo, si dirà: è colpa sua che non ha disposto bene della propria libertà quando l'aveva.
Eppure, se un uomo commettesse un crimine perchè la società non ha saputo o voluto integrarlo nei suoi sani principi di democrazia, lavoro, famiglia, studio, fratellanza, nè tutelarlo nella sua fragilità morale o ambientale? Dove finisce la colpevolezza di quell'uomo e dove inizia quella di coloro che non l'hanno sottratto ad una strada sbagliata proponendogliene una corretta? Qual'è la concreta efficacia della pena carceraria e del suo potere di redenzione, salvo che non lasciare per strada un individuo potenzialmente pericoloso per la collettività?
Non ho risposte. Se si comminano ancora ergastoli o trentenni di condanna (c'è poi differenza ...?), evidentemente la carcerazione resta l'unico valido deterrente al crimine.
Ma non ci sono, magari, spazi per modernizzare i percorsi di recupero sociale, per potenziare le strutture all'uopo deputate, affinchè questi rei e reietti non siano costretti alla pazzia cui certamente conduce il vivere lontani dai propri figli o dalla natura che ci circonda?
Non ci sono tecniche meno cruente per consentire ad un criminale di maturare un intimo, profondo, saldo pentimento, per tornare infine a vivere veramente da uomo nuovo e  non da lobotomizzato per le infinite ore di violenza fisica e psicologica subita?
Attenzione, lo dico - e lo sottolineo - con il massimo rispetto delle vittime dei crimini e del dolore dei loro familiari, stigmatizzando con orrore l'abbrutimento cui può giungere un essere umano quando si spinge (o viene spinto) fino al crimine.

11.5.11

Un funerale

Due uomini sorreggono con riconoscenza filiale la bara che custodisce la salma del padre.
Dietro di loro, a due a due, gli impiegati delle pompe funebri ne condividono il peso, mentre percorrono la lunga navata centrale della chiesa. La moglie e la figlia del defunto affiancano questo mesto corteo, con il capo chino e reso traslucido dai rigoli delle lacrime. L'insieme risulta fortemente terreno, eppure, allo stesso tempo, trasfigurazione di una sacra famiglia.

6.5.11

Il mio the al limone

Se non disponete di acqua minerale, fate scorrere a lungo l'acqua di rubinetto; il sapore di cloro o dei tubi ferrosi altrimenti rovinerebbe tutto. Riempite il bollitore del quantitativo di acqua necessario e ponetelo su un fuoco medio. I bollitori dispongono spesso di un'asola dalla quale è possibile percepire il fischio del vapore proveniente dall'interno. E' importante, perchè il fuoco deve essere spento al primo sentore di tale fischio, così che l'acqua non entri in piena ebollizione.

Se l'infuso del the debba avvenire nel bollitore stesso o in tazza è questione di gusti personali. Nel mio caso è la pigrizia a farmi propendere per quest'ultima strada, posto che, altrimenti, a lungo andare l'interno del bollitore verrebbe a macchiarsi in modo indelebile e soprattutto l'inserimento del filtro direttamente al suo interno comporterebbe una scomoda manovra esponendo la mano al bruciore del vapore.
Dunque, dopo aver posizionato il filtro (o il colino con le foglie essiccate) nella tazza, versatevi l'acqua calda avendo cura di non farla cadere direttamente sulla bustina e lasciate in infusione per circa due minuti. Una durata più lunga darebbe un sapore più intenso ed amarognolo al the, ove ciò fosse rispondente ai gusti personali.

Nel frattempo, tagliate una sottile mezzaluna di limone e immergetela nell'infuso, affinchè abbia ad aromatizzarsi. Attenzione a questa fase: molto spesso vedo baristi - o esperti di caffè... - prelevare uno spicchio di limone esageratamente grande e talvolta spremerne addirittura il succo, sicchè nel primo caso risulterebbe difficoltoso l'utilizzo del cucchiaino ed il successivo sorseggiare, mentre nel secondo  il the assumerebbe uno spiacevole sapore acidognolo. Il limone, nella sua minuscola dimensione, deve dunque lasciare un delicato profumo che non sovrasti quello del the ma lo valorizzi esaltandolo.

Una volta rimosso il filtro dalla tazza, aggiungete da ultimo lo zucchero. Anche qui vale il discorso del limone: troppo zucchero renderebbe il the uno sciroppo quasi stucchevole. Un cucchiaino, massimo uno e mezzo, mi sembra invece il giusto equilibrio per mantenere intatto l'aroma delle foglie prescelte, senza tuttavia rinunciare al nostro fanciullesco piacere per le cose dolci.

Berrete infine il vostro the ancora caldo, al punto da non risultare bruciante per il palato, nè tiepido da risultare sgradevole nello scendere in gola. Accompagnarlo con pasticcini o biscotti al burro è poi senz'altro una scelta indovinata.

4.5.11

Un ricordo scolastico su Paolo Di Nella

I miei anni scolastici (scuole medie inferiori e superiori) sono coincisi con gli anni di piombo del terrorismo di matrice politica. Dal 1977 al 1983 sembrava quasi normale che si sparasse nelle strade, che venissero uccisi magistrati e giudici, che ci si picchiasse alle manifestazioni. Più di una volta sembrò di essere ad un passo dalla guerra civile.
Finchè poi vennero il riflusso, il boom economico, la Milano da bere, il Craxismo nei suoi lati positivi e negativi, a spazzare via tutto.
A ripensare a quegli anni suona strano immaginare che imberbi ventenni tenessero sotto scacco il Paese, eppure era così, lo Stato sbandava paurosamente. Ma al di là delle frange terroristiche più estreme e violente, quelle erano le ultime generazioni del dopoguerra che crescevano con un sincero ed appassionato impegno politico giovanile.
La mia scuola, il Liceo scientifico Righi di Roma, passava per un istituto politicamente collocato a Destra. Si trattava di un liceo ritenuto fra i più seri e che ospitava in prevalenza giovani provenienti dalla media borghesia romana. A meno di cento metri c'era il Liceo classico Tasso, anch'esso ottima scuola, ma di tutt'altro orientamento politico. Ovviamente i dissidi tra le due scuole erano abbastanza all'ordine del giorno...
Confesso che al tempo ero più imberbe degli imberbi studenti militanti e poco mi interessavo di politica, ancora preso com'ero da passioni adolescenziali quali la musica o lo sport. Scelsi così il Righi, soltanto perchè volevo compiere studi scientifici e perchè esso offriva sufficienti garanzie per la tranquillità dei miei genitori.
Fra i ricordi più vivi che conservo di quegli anni c'è quello legato a Paolo Di Nella, che entrò a far parte della mia classe nell'ultimo anno di corso.
Di Nella era un appartenente al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile di destra che ha avuto fra i suoi aderenti anche l'attuale sindaco di Roma, Alemanno.
Ebbene, una sciagurata sera nel febbraio 1983, Di Nella venne colpito con violenza da una banda rivale mentre appendeva manifesti a sfondo socio-culturale nel quartiere Africano. Rimase in coma sette giorni prima di morire al Policlinico Umberto I. Vennero a visitarlo il Presidente Pertini (contestato) e i nostri Rappresentanti di classe.
Fu uno shock per tutti noi. Stavamo organizzando la festa di Carnevale e la gita per i cento giorni alla Maturità. Tutto fu ovviamente rivisto. Quell'episodio ha segnato probabilmente il mio ingresso nel mondo degli adulti e forse inconsciamente ispirato il mio recente libro.
Paolo Di Nella, al pari di altri come lui, aveva certamente alle spalle episodi legati a manifestazioni più o meno violente e ad accese battaglie politiche e studentesche. La cronaca dice che nel 1981 si iscrisse ad un istituto scolastico privato per sfuggire a minacce che gli erano state rivolte presso la scuola dove studiava in precedenza (peraltro, la cronaca stranamente nulla dice del fatto che nel 1983 fosse divenuto uno studente del Righi).
Il mio ricordo di lui è quello di un ragazzo taciturno, apparentemente più grande dell'età che aveva. Occupava un banco dell'ultima fila e talvolta lo scoprivi assorto su testi di carattere politico (ricordo un'edizione de Il Capitale di Marx). Ricordo anche, che era estremamente mite e gentile nel parlarci, quasi si sforzasse di trovare un canale di comunicazione con noi altri, da lui forse inquadrati quali ragazzi inesperti che poco potevano capire della profonda passione politica che accendeva il suo animo.
In effetti noi non sapevamo nulla del suo privato, nè chi fosse, da dove venisse o cosa cercasse. Era un ragazzo poco più grande che avevamo accolto con la pura spontaneità che solo i giovani sanno esprimere. Senza sapere che un pezzetto di storia politica del Paese si stava svolgendo proprio lì intorno a noi.

Perchè ci serve lo psicologo?

Oggi più che in passato usiamo rivolgerci agli psicologi, per disporre di un sostegno in fasi più o meno prolungate e difficili della nostra vita.

Mi chiedo se le passate generazioni fossero dotate di una maggiore solidità caratteriale o se invece oggi siano maggiori e più nocive le sollecitazioni nervose che ci investono nel corso dell'esistenza o se ancora una maggiore disponibilità economica ci permette piccoli lussi quali appunto lo psicologo, il personal trainer o l'estetista.

Non dispongo di statistiche in proposito, ma ricordo che trent'anni fa nella scelta della facoltà universitaria, la prospettiva che veniva dalla psicologia era alquanto fragile ed insicura. Molti psicologi, poco lavoro. Ma oggi è ancora così? E se invece questa branca del sapere stesse divenendo un possibile sbocco di successo per i ragazzi che nutrono tale passione e vogliono farne un mestiere? E' un caso che oggi il settore del benessere in senso lato sia uno tra i pochi a garantire buoni ricavi ad un imprenditore?

Spiace riconoscerlo, ma si scopre tanta fatica di vivere in giro, e non come in passato per scarse risorse economiche. L'esasperazione dei modelli ideali di vita che ci trasmettono quotidianamente i media, unita ad una durissima crisi occupazionale, morale e familiare, mettono a dura prova - molto più che in passato - l'equilibrio di ciascuno di noi.

Pochi, forti, se la cavano - forse quelli che hanno meno tempo per riflettere e spaventarsi - ma i restanti cercano strumenti che riducano tali tensioni interne o che magari li aiutino a ricostruire un diverso e più sereno approccio al mondo moderno. Non mi stupirebbe che nel tempo crescesse significativamente l'interesse anche per le discipline orientali che educano alla meditazione, al rilassamento psicofisico.

Sarebbe però anche bello che tutti ci facessimo un esame di coscienza e ci assumessimo un concreto impegno personale per ricondurre l'umanità ad un nuovo senso della misura, ad una minore produzione di fatti o notizie ansiogene, ad un drastico ridimensionamento delle droghe (carriera, potere, successo, ricchezza, bellezza, fama, moda) che ormai, volenti o nolenti, ottenebrano le nostre menti.

2.5.11

Giustizia è fatta

E' notte fonda in Italia quando si diffondono le prime notizie dell'avvenuta uccisone in Pakistan del terrorista Bin Laden, capo supremo dell'organizzazione Al Kaeda.

Un epilogo di una lunga caccia all'uomo, iniziata dai servizi segreti degli Stati Uniti oltre un decennio fa ed ulteriormente potenziata all'indomani della strage delle Torri gemelle a New York nel 2001.

Scontate le reazioni di giubilo in tutto il mondo occidentale ed in gran parte di Oriente e Medio Oriente. Particolarmente incontenibile la gioia dei cittadini Usa, ancora sotto shock per la tragedia epocale di Ground Zero.

Eppure, desta sempre altrettanto dolore la spietatezza dell'uccisione di un uomo, specialmente quando essa è frutto di una condanna a morte decretata da una cultura occidentale che dovrebbe prendere le distanze dall'omicidio quale pena capitale per un delitto commesso, per quanto atroce.

Siamo tutti contenti che un profeta del crimine, un fanatico esaltato quale era Bin Laden non ci sia più - anche se poi altri probabilmente verranno dopo di lui per vendicarlo e farne un martire. Ma nel mio silenzio interiore feriscono le scene di tripudio ed esaltazione di tanti giovani americani che esultano per le strade come dopo una importante vittoria sportiva della squadra del cuore.

Questa volta mi riconosco pienamente nelle dichiarazioni provenienti dal Vaticano: "Di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai".