15.5.11

Casa Moravia

Alle sette e trenta di una tiepida serata romana, ho visitato l'abitazione di Alberto Moravia, ora adibita a Museo. Siamo una quindicina ad esserci prenotati e una solerte guida comunale ci aspetta sotto al portone di Lungotevere della Vitttoria 1.
Un palazzo elegante, non sfarzoso, in linea con lo stile piemontese del quartiere Prati ed in particolare del Rione delle Vittorie.
Una volta transitati per l'uscio dell'appartamento, istintivamente la suggestione del luogo ispira il massimo silenzio e rispetto. Si respira l'imbarazzo delle case visitate in assenza dei padroni, con un vago senso di colpa per l'invadenza.
Quadri. Molti importanti pittori del novecento italiano occupano le pareti delle stanze. Quadri non acquistati da un ricco appassionato d'arte, ma segni di stima e affetto da parte degli stessi pittori per Moravia. Capisci che l'artista Moravia è ben più che uno scrittore: è parte del ventesimo secolo, è espressione degli intellettuali che ne hanno animato gli sviluppi politici e culturali.
Libri. Le stanze ne sono piene. Sono più di diecimila. Ma non una biblioteca strutturata e scientificamente articolata: piuttosto, il piacere di conservare i libri via via letti, occupando progressivamente ogni spazio dedicato della casa. Soltanto in alcuni casi la scelta del posto per i libri non è casuale: la libreria con i volumi sui viaggi, quella con i grandi romanzi russi, quella con i testi sul cinema.
Uno studiolo con la televisione precede la stanza di lavoro. Una massiccia e semplice scrivania di legno sulla quale troneggia la macchina da scrivere. Sembra di vederlo seduto lì a comporre molti dei suoi capolavori. Ed accanto alla scrivania, un divano morbido, comodo, di stoffa grezza, dove spostarsi a riflettere su un'idea improvvisa da sviluppare. Non c'è in quella stanza il terrazzo che ti aspetti. Ma una finestra semplice che è però uno squarcio su una delle più belle viste della Roma lungo il Tevere.
E' in salotto invece che si accede da una porta finestra ad una terrazza semicircolare, anch'essa elegante perchè non sfarzosa nè scenografica. Ma una terrazza comoda, vissuta, a misura di Moravia e della moglie del momento, la Maraini o la Llera. Il salotto era per i pomeriggi; alla mattina il lavoro della scrittura, al pomeriggio spesso un cinema o altrimenti gli incontri con gli amici in quel salotto, dove in un angolo si scorgono le bottiglie di brandy o whisky da offrire. Anche qui, un divano morbido in stoffa grezza e, poi, molte maschere africane alle pareti, a memoria del suo amore per quel continente.
Un corridoio di libri e si arriva infine alla camera da letto. Scarna, essenziale. Non amava dormire, si alzava presto. Ad un lato del letto, al posto di un comodino, un grammofono serviva forse ad acquietare l'animo alla sera.
Dunque una casa molto sobria. Non amava accumulare scartoffie e cose non necessarie. Buttava via molto. Gli unici manoscritti conservati furono riscoperti dopo la sua morte in una valigia ritrovata nelle cantine del palazzo. Qualche inedito o qualche bozza poi superata. Ma nulla più. Dentro di sè Moravia aveva tutto ciò di cui necessitava.

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