2.5.11

Giustizia è fatta

E' notte fonda in Italia quando si diffondono le prime notizie dell'avvenuta uccisone in Pakistan del terrorista Bin Laden, capo supremo dell'organizzazione Al Kaeda.

Un epilogo di una lunga caccia all'uomo, iniziata dai servizi segreti degli Stati Uniti oltre un decennio fa ed ulteriormente potenziata all'indomani della strage delle Torri gemelle a New York nel 2001.

Scontate le reazioni di giubilo in tutto il mondo occidentale ed in gran parte di Oriente e Medio Oriente. Particolarmente incontenibile la gioia dei cittadini Usa, ancora sotto shock per la tragedia epocale di Ground Zero.

Eppure, desta sempre altrettanto dolore la spietatezza dell'uccisione di un uomo, specialmente quando essa è frutto di una condanna a morte decretata da una cultura occidentale che dovrebbe prendere le distanze dall'omicidio quale pena capitale per un delitto commesso, per quanto atroce.

Siamo tutti contenti che un profeta del crimine, un fanatico esaltato quale era Bin Laden non ci sia più - anche se poi altri probabilmente verranno dopo di lui per vendicarlo e farne un martire. Ma nel mio silenzio interiore feriscono le scene di tripudio ed esaltazione di tanti giovani americani che esultano per le strade come dopo una importante vittoria sportiva della squadra del cuore.

Questa volta mi riconosco pienamente nelle dichiarazioni provenienti dal Vaticano: "Di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai".

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