18.4.11

"Libertà" di J. Franzen

E’ sempre emozionante imbattersi in libri importanti e indiscutibilmente belli. Quando gli occhi raggiungono l’ultima parola dell’ultima delle oltre 600 pagine che compongono “Libertà”, un senso di appagamento ti pervade. Sappiamo che a differenza, purtroppo, di molti libri che leggiamo, questa storia rimarrà per sempre dentro di noi, forse inconsciamente ispirando anche le nostre esistenze.Credo che Franzen con “Libertà” abbia composto il capolavoro della sua carriera. Ci auguriamo che molti altri romanzi di valore possano succedergli e che uno di essi possa smentirci, ma al momento di fronte a questa opera non è facile immaginare ulteriori margini di miglioramento.


La ricetta scelta dall’autore è strettamente imparentata con quella di “Le Correzioni”: un affresco familiare, che per il suo carattere di universalità acquista un tono classico, nel senso contemporaneo che si può attribuire a questo aggettivo. Proseguendo nella sua meticolosa analisi delle dinamiche interne all’istituzione Famiglia (oltre a “Le Correzioni” leggasi anche il racconto “Le Ambizioni” proposto di recente da Repubblica), Franzen arricchisce la sua personale commedia umana di un altro nucleo di coniugi con figli. La più universale delle famiglie, appunto.


Laddove però si poteva percepire quale unico difetto di “Le Correzioni” la rigida spartizione dei capitoli fra i vari componenti della famiglia, qui le varie vicende sono amalgamate e collegate in modo molto equilibrato, guadagnandone la tensione narrativa e il ritmo della lettura.


Al centro di tutto, ancora una volta, le difficoltà, il senso di routine e di stanchezza che può attanagliare i coniugi legati da un lungo matrimonio esponendoli al doloroso rifugio del tradimento; la fisiologica ribellione dei figli, bramosi di costruirsi il loro futuro in un mondo, però, che ne ostacola in tutti i modi il decollo. Di qui la controversa relazione con i genitori, fatta di conflitti generazionali ma anche di sotterraneo affetto, e di un profondo ed umano senso di dedizione filiale.


E’ magistrale il modo in cui Franzen tiene insieme le vicende dei personaggi e le sfumature psicologiche dietro le loro azioni/reazioni, soffermandosi sui rispettivi istinti di vita – sentimentali, lavorativi, sociali – e sui conflitti interni che da essi possono generarsi. Perché la “libertà” non è mai alla fine pienamente tale, essendo sempre circoscritta e condizionata dalle interazioni più o meno inconsce con quella degli altri familiari.


Sullo sfondo, eppure protagonista anch’essa del libro, l’ambientazione politico-economica del nostro secolo, la critica all’imperialismo Usa di matrice Bushiana e allo sregolato sfruttamento delle risorse naturali dei paesi meno sviluppati, l’attivismo per l’ecologia e la protezione dell’ambiente, talvolta fini a se stessi. Anche in questo caso Franzen è amaro nel denunciare l’apparenza della “libertà” di espressione o di azione: fra coloro che fanno la parte dei “cattivi” e quelli che agiscono da “buoni” regna infatti il compromesso nella forma più deteriore degli scambi di interesse; gli uni hanno bisogno degli altri per conseguire i propri obiettivi e guidare la società verso un ignoto futuro.


Eppure, nonostante il quadro non roseo che Franzen ci presenta, dalla lettura del libro si esce in qualche modo fiduciosi. Questo inno alla grandezza della debolezza umana ci suggerisce che da essa possa nascere l’esperienza, aiutandoci a sperare che un graduale, quand’anche lento, avvicinamento alla “libertà” sia ancora possibile.


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