18.11.05

Amicizia o compagnia

Disquisire su temi così elevati come l'amicizia rischia l'impantanamento in sterili luoghi comuni o banali affermazioni di superficie. Vale la pena farlo?
Il tentativo nasce dalla considerazione credo indiscutibile che il significato di amicizia sia estremamente soggettivo e legato al grado di attesa che tale forma di affetto esercita su di noi.
Incontrerete molti che si vantano di un'agenda fitta di numeri di telefono di amici, parlerete con altri che si dicono orgogliosi dei due, tre veri amici per loro imprescindibili.
L'amicizia oscilla fra i due estremi della compagnia da un lato e del confidente dall'altro. Si potrebbe quindi dire che l'amicizia è un continuum misurabile su una scala graduata dalla quale selezioniamo le persone che in un dato momento meglio rispondono alle nostre esigenze di dialogo e comunicative.
Personalmente, tendo ad attribuire alla parola amico un senso profondo. In un amico mi piacerebbe trovare l'intuito nei miei confronti e verso le mie esigenze. Qualcuno che sappia manifestare un suo interesse per la mia persona, che mi aiuti a vivere al meglio, anche criticandomi. Mi sentirei disponibile a ricambiare con lo stesso ascolto e la medesima partecipazione emotiva.
L'età che avanza ci irrigidisce nei nostri stili di vita ed esaspera le differenze caratteriali, riducendo tolleranza e comprensione. Ecco perchè le più belle amicizie risalgono all'adolescenza, quando ancora l'ingenuità ci porta a dare tutto di noi per alcun tornaconto.
L'amicizia viene poi sostituita da un più tiepido "accompagnarsi", condividendo occasioni di svago e tempo libero. Sentiamo la fatica della vita e una maggior fatica nel caricarci anche la fatica della vita degli altri.
Ecco perchè gli amici che si ritengono veri, vanno coltivati come rami di una delicata pianta da potare ed innaffiare, affinchè non inaridiscano e non perdano quella fragile e preziosa linfa vitale che li sostiene.

Une visite au Louvre

Mediometraggio/documentario di Straub che si sofferma su un gruppo di tele esposte al Louvre.
Veronese, Delacroix, Courbet ed altri, forniscono la materia al regista per rappresentare un'immaginaria riflessione di Cezanne sulla loro arte pittorica. Straordinaria profondità nel discernere la vera arte immaginifica dalla fredda bravura della rappresentazione decrittiva.
Da vedere, unitamente ad un altro capolavoro del genere, Arca Russa (regia di A. Sokurov), ambientato nell'Hermitage di San Pietroburgo.

17.11.05

Roma e Milano

Sarà che lentamente andiamo abituandoci a ragionare in chiave di Europa unita e di moneta unica, è comunque innegabile che il campanilismo che ha sempre contraddistinto molti ragionamenti comuni e che così tanta carica agonistica dà ai principali campionati sportivi italiani, ha sempre meno ragion d'essere. Sentirsi espressione di una città piuttosto che di una Regione o anche di una nazione, poco conta rispetto alla maestosità che esprime l'essere umano come parte unitaria dell'umanità.
Ugualmente, confrontare due città si presta a rapidi valutazioni comparative a detrimento dell'una o dell'altra, in ragione di nostre conscie o inconscie preferenze, origini o patriottismi. Ma se invece si provasse a ragionare in termini più completi si potrebbero apprezzare le ovvie differenze come espressione di una tipicità locale comunque meritevole di essere salvaguardata e valorizzata.
Milano e Roma sono città emblematiche in tal senso: storicamente rivali, climaticamente opposte, sociologicamente antitetiche. Due città vive e quindi magnifiche.
Piace di Milano il suo essere parte della mitteleuropa, di respirare la cultura transalpina o germanica, la sua finezza di stili e modi che nasce dalle dinastie che hanno influito su quelle terre. Piace la sua discrezione, la sua capacità di equilibri emotivi e la sua razionalità. Piace il senso civico che la pervade o a cui comunque tende. Piace il senso di riservatezza che scherma i rapporti umani, evitando chiassose ingerenze e commistioni nei fatti degli altri. Tante altre cose piacciono meno, ma va bene così. E' un tutt'uno inscindibile.
Roma mi attrae per la sua imperturbabilità, per il sorriso sempre ironico che rende pazienti i suoi abitanti. Si eleva per il sussurro della storia che aleggia perennemente fra i ruderi assolati. Diverte per il bisogno di condivisione che porta le persone a raccontarsi apertamente. Piace la volontà di fare, unita alla pigrizia del rimandare. L'elefantiaco ritmo lavorativo dei Palazzi dello Stato e la profonda dignità propria dei loro piccoli lavoratori di tutti i giorni. I parchi che potrebbero essere ancora più belli ma senza i quali i cittadini si sentirebbero prigionieri del cemento e dello smog. La dolcezza della brezza marina che proviene dai lidi circostanti. Ostia, Fregene.
Se si smettesse di fare superficiali schematizzazioni ma si lavorasse per valorizzare ciò che di bello ogni città e ogni popolazione possiedono...

12.10.05

Chiesa e Divorziati

Si accentuano i disaccordi all'interno delle gerarchie ecclesiastiche sul rapporto tra i divorziati e l'osservanza del sacramento della Comunione.
E' un tema fra i tanti che impegnano la Chiesa nel suo quotidiano confronto con la società civile e l'evoluzione dei costumi della collettività. Contraccezione, Divorzio, Coppie di fatto o omosessuali. Temi molto seri e molto complessi da affrontare, volendo ricercare una soluzione che sia regola lineare ed univoca.
Sono temi che dividono la collettività dei credenti, la quale è giocoforza e a vario titolo toccata dalla complessità e dalle difficoltà del vivere quotidiano. Esperienze molteplici, tutte diverse, che mal si attagliano a indirizzi netti e drastici.
Ma la Chiesa è un modello di vita, è un riferimento costante per chi vi si affida. Può un modello perdere di attendibilità e farsi trascinare dai confusi ma reali accadimenti della vita terrena?
C'è un contrasto insanabile a mio avviso nel voler conciliare le esigenze fortemente individuali della persona con il messaggio universale e, di conseguenza, giustamente unico del Clero. Le forze centrifughe che guidano inconsciamente l'uomo, contrastano con la Fede centripeta che mantiene il vero credente teso verso Dio.
Da questo asintoto si genera secondo me una virtuosa purezza di cuore che, in quanto vera e non alibi, può riscattare il peccatore riavvicinandolo alla riconciliazione.
Su questa convergenza asintotica, a mio avviso, la Chiesa può trovare spazi di apertura attraverso i quali ridurre la distanza con gli "emarginati", allo stesso tempo modernizzando il proprio rapporto con la Società civile, troppo radicata nelle sue manifestazioni evolutive per non essere ascoltata ed eventualmente rispettata.

6.10.05

I paradisi artificiali

Sempre più spesso emerge un inquietante uso da parte di giovani e non di sostanze stupefacenti. Soprattutto la cocaina è stata inglobata nei normali costumi di parte delle masse giovanili, quale corredo di esperienze quotidiane volte all'euforia e al divertimento di gruppo.
Quello che accade è un progressivo venir meno dell'alone di negatività che questa ed altre sostanze portavano con sè in passato, fino ad una "normalizzazione" del loro utilizzo.
Non è facile per chi come me non conosce il grado di dipendenza che può determinare la droga, capire le motivazioni che spingono tante persone a proseguire in questa lenta discesa all'inferno bianco. Nutro un profondo rispetto per la loro assuefazione e la loro inconscia sofferenza.
Spaventa però soprattutto il numero di persone che sentono il bisogno di trovare appagamento in mondi artificiali, saturi del normale sentire quotidiano.
E' comunque colpa nostra, della società. Il disagio che aleggia intorno all'individuo è crescente, i modelli esistenziali a disposizione sono sempre meno e ancor meno sembrano quelli vincenti.
Non è sbagliato il cercare di essere vincenti (sfatiamo il luogo comune di chi è orgoglioso di essere un perdente...), è però fuorviante pensare che ci siano solo quei pochi modi per esserlo.
Essere adulati, piacere agli altri, fare o parlare alla moda. Quanto può essere difficile per un debole opporsi a questi diktat sociali. Povere basi culturali non aiutano a discernere il vero bene, e allora l'estasi data da un paradiso artificiale o finanche da un continuum di ricerca di conquiste sessuali, sembrano il meglio che possa venire dalla vita.
Non ho ricette. Capisco che chi si droga lo fa perchè non ha in sè le certezze e la maturità di capirne la devastazione mentale e sociale che ciò provoca.
Rinvio il compito agli educatori, alle scuole, ai giornali, alle persone più carismatiche di me. Su di loro sta la responsabilità di vigilare affinchè nella società calino messaggi positivi, puliti, sani.
Non è perbenismo, è lotta alle forme di cancro subdolo che stanno erodendo le coscienze più fragili.

23.8.05

Educazione artistica

Se dovessi dare un suggerimento nell'educazione dei figli, sarebbe quello di coltivare ed incentivare la loro sensibilità artistica.
Aiutarli ad avvicinarsi ai libri, al cinema e al teatro, alle esposizioni, alla musica rappresenta un investimento che torna negli anni dell'età adulta, quando la mente si ritrova allenata a recepire una visione poetica e profonda della vita, dei suoi valori od anche delle relazioni interpersonali.
A volte tendiamo ad accumulare i libri letti, i dischi o le pellicole, in un irrazionale bisogno di fare propria per sempre la sensazione di benessere mentale prodotta da un tal'opera su di noi. Ma in realtà non serve, è un di più: una musica, una sequenza visiva, un brano scritto, schiudono in noi boccioli cerebrali che rimarranno fioriti per sempre e che per sempre ci saranno d'aiuto per alimentare il nostro umano bisogno di passioni.

3.8.05

Istituzioni e Magistratura

Sono giorni in cui le prime pagine dei giornali sono riempite dai contenuti delle intercettazioni telefoniche compiute sui cellulari del Governatore della Banca d'Italia e di esponenti di spicco del mondo bancario e finanziario. Le trascrizioni delle intercettazioni sono filtrate dagli ambienti della magistratura, nell'ambito delle inchieste tuttora in corsa su recenti lotte fra cordate finanziarie per la scalata di grandi banche.
Ci troviamo costretti a chiederci: è più grave che la massima carica deputata a vigilare sul corretto esercizio dell'attività creditizia da parte delle banche italiane, risulti coinvolta in conversazioni quantomeno ambigue con una parte degli attori impegnati nelle lotte di potere per il controllo delle Banche, o che i verbali dei magistrati e la documentazione dagli stessi raccolta vengano passate sottobanco agli organi di stampa nazionali, turbando il normale svolgimento delle indagini?
Istituzioni e Magistratura sbandano pericolosamente, perdendo di vista il loro fondamentale ruolo super partes che dovrebbe essere di garanzia per il cittadino qualunque. Finchè in Italia non sarà restituito al rigore morale l'operato di Organi così importanti per il progresso di un Paese, non sarà possibile proporci sullo scenario internazionale come partner credibili e protagonisti della crescita della società civile.

24.7.05

Paura e coraggio

Ieri è stata una strana ed intensa giornata per molti a Roma.
Il risveglio al mattino era stato turbato dalle ennesime notizie di una strage targata Islam in terra d'Egitto, là dove cercano relax esotico moltissimi turisti occidentali. Cento morti, cento sogni che si infrangono spezzati dalle schegge delle bombe. Sposi in viaggio di nozze, addirittura gente scampata agli attentati di pochi giorni prima a Londra, che cercava relax a Sharm.
La tensione si è impossessata della nostra quotidianità. Quello che prima ci veniva spontaneo ed automatico compiere, la scelta di una metropolitana, l'acquisto di una vacanza, ora suscita inquietudine, paura. Perchè proprio a me....? Perchè no...?
Ma ieri a Roma era anche in programma il concerto degli U2. Molti di quei 70.000 spettatori andando allo stadio si saranno per un momento chiesti se andare fosse prudente. Roma: attendiamo la morte a giorni. Troppi nemici guadagnati in questi anni di muro contro muro, di sordità di fronte a gesti violenti, ma assordanti per quanto espressione di un popolo sottovalutato. Andando allo stadio, sfidando la paura e la sorte, camminando in mezzo ad una folla di giovani, di colori, viene in mente tutto questo. Che senso può avere ascoltare la musica in giornate aperte con il lutto.
Il senso però affiora ingenuo e potente. La voglia di pace, di serenità che è dipinta sul volto di questi ragazzi. Gente che affida ad un gruppo rock la sua voglia di pace, di vita. Nessuno di questi 70.000 ieri sera aveva a che fare con quanto sta succedendo. Camminano abbracciati, con coraggio, il viso arrossato da una domenica trascorsa al sole delle spiaggie di Roma o in fila fuori dai cancelli dello stadio. Ballano sulle sedie mentre la musica scorre potente, fumano, bevono birra. Per loro la vita è molto più semplice e bella della realtà che li soffoca fuori da quello stadio. "Pace!", gridano. Ed è vero, sono stanchi di sentire la morte attorno. Sono giovani, c'è tempo ancora per morire. Sprizzano vita ed amore dai loro occhi, dai loro vestiti pittoreschi. Si ribellano e, per una sera, il mondo sembra in pace sotto il cielo di Roma.

14.7.05

In memoria di un uomo semplice

Quando una persona muore, lascia un grosso vuoto. Quando a morire è una persona cara, il dolore è sordo. Quando la persona cara si era dimostrata di animo buono e aperto, solare e serena, generosa e per bene, la sua morte si conficca dentro di noi e svetta come esempio di vita e obiettivo quotidiano.
Anche la morte a volte può generare dolcezza.

12.7.05

Stragi

7 luglio 2005. I terroristi islamici seminano morte e panico a Londra. Un'altra New York, un'altra Madrid.
L'Occidente conta i suoi morti come se fossero gli unici di questa complessa guerra fra etnie. I morti che incupiscono i dorati marciapiedi delle metropoli occidentali, sembrano contare doppio rispetto alle vittime ugualmente numerose che insanguinano la sabbia delle strade d'Oriente, dove autobus e palazzi, anziani e bambini, saltano in aria con frequenza pressochè quotidiana, ma più silenziosa.
Le grida di vendetta dei leader occidentali suonano alte. Non sento però grida di cambiamento, non scorgo la voglia di cercare nuove diplomazie, di rilanciare un'ONU protagonista, non v'è traccia di un dialogo su cui lavorare.
Muro contro muro andiamo avanti con ottuso coraggio, verso nuove stragi.

4.7.05

L'arte di ascoltare

Viviamo un'epoca che premia le esternazioni. Parlare, scrivere, proclamare, arringare: sono tutti verbi dei nostri tempi, che traducono un bisogno incoercibile di comunicare, di dimostrare la nostra esistenza agli altri. Chi non parla, non esiste. Chi non dà forma esteriore al suo essere, vive una vita apparentemente inutile e vuota.
Questo accavallarsi di personalità svelate e gridate, toglie spazio all'ascolto. Perdiamo la capacità di ascoltare gli altri e soprattutto la sensibilità per comprenderli e per trovare nel loro esempio possibili spunti di arricchimento del nostro carattere.
Ma non parliamo forse tanto, perchè siamo in cerca di qualcuno che ascolti veramente? Non è il nostro un parlare al vento? Se soltanto si centellinassero le parole dette e si decuplicassero gli sforzi per apprezzare quelle degli altri, forse ne guadagneremmo in profondità di pensiero e di dialogo.

28.6.05

Cercasi maestro

La società evolve nella direzione verso cui ciascuno di noi la conduce. E' un movimento lento, impercettibile ma costante, implacabile. Simile alla colata di lava incandescente che rotola su se stessa lungo le pendici di un vulcano in eruzione.
Viviamo oggi la società del 2000: diversa da quella del precedente ventennio, ugualmente diversa da quella del ventennio precedente, e così via. In che cosa essa cambia? Gli studiosi potrebbero identificare mutamenti climatici, biologici, fisiologici, lessicali, sociologici, e via dicendo. Mi interessa soffermarmi sui cambiamenti che subiamo/causiamo in termini di morale, di costumi, di senso civico.
Sarebbe facile ed oltremodo semplicistico cogliere un decadimento dei gusti estetici e dei comportamenti, correlato al trascorrere degli anni. Vivere la società moderna implica doversi confrontare con un substrato culturale e storico assai complesso, in presenza di profondi mutamenti politici e grandi slanci di aggregazioni/disaggregazioni etniche e geografiche.
L'Italia, e con essa molti Paesi europei occidentali, vive un'epoca di forti contrasti sociali: gli imponenti flussi di immigrati, la crescente disparità fra i ceti ricchi e quelli medi-bassi, la contrapposizione tra dinamiche centrifughe aggreganti (l'europeismo) e la strenua difesa dell'autonomia nazionale e locale (la Nazione, la Regione), non sono che pochi dei violenti scossoni culturali cui veniamo sottoposti quotidianamente.
Trasformazioni così profonde richiedono un forte senso dell'equilibrio da parte dell'uomo, unità minima essenziale di questo macro-processo in atto. L'uomo, con il suo patrimonio genetico, familiare, culturale, è chiamato ogni giorno a porre in essere centinaia di decisioni e comportamenti che, volontariamente o non, fanno la nostra storia sociale.
All'interno dell'uomo risiedono soprattutto valori morali e senso civico: non importa qui se essi trovino estrinsecazione in un credo religioso o in una fede politica. Ciascuno di noi dovrebbe mettere a disposizione della Società un minimo comun denominatore che sia da fondamenta per un percorso sano, costruttivo e virtuoso.
Eppure, cosa manca oggi?
Assistiamo allo strapotere del dio denaro, che tutto muove e tutto determina. La televisione, i giornali, la politica, il commercio e, purtroppo, spesso l'arte e la cultura, operano con tale unico obiettivo: vendite, audience, pubblicità, numero contatti, potere, etc. Leggiamo giornali che pubblicano di tutto, notizie utili ma anche quelle sostanzialmente inutili o destinate a lettori voyeur che pagano per leggerle; assistiamo a programmi televisivi che plagiano gli spettatori con "droghe" apparentemente innocue fatte di risate trash, personaggi da baraccone, luoghi comuni ripetuti all'infinito, erotismo da audience, esibizionismi di attricette o attorucoli a dir tanto.
Dove è finito il giornalismo asciutto, essenziale, che faccia riflettere, che si ponga il dubbio se una notizia faccia o meno il bene della Società? Tornerà mai una televisione e un cinema che non siano solo mezzi di svago o di raccolta pubblicitaria, ma si pongano quali strumenti di esercizio per la mente?
Le regole morali, il senso civico non dovrebbero venir meno in alcun modo, anche laddove potrebbero andare a scapito dei ricavi.
Noi europei disponiamo di radici culturali solide, di nobili letterati classici, di illuminati avi fra i filosofi, stiamo progressivamente appiattendoci sul mondo in plastica degli americani, sul mondo delle banconote, del business a tutti i costi, delle brutte mode e dei cattivi costumi, della comunicazione di massa, della mercificazione del nulla.
Chi di noi ha più il coraggio di imporsi uno stile di vita che prescinda dai dettami del branco cui appartiene? Chi ha più il coraggio di prescindere dallo status sociale e di sposare le cause dei più deboli? Chi si preoccupa di insegnare i valori basilari alle frange più emarginate della società? Chi di noi ha la forza di far nascere un movimento o una scuola che muova in quella direzione? Chi di noi cede il passo al prossimo?
Cerco il coraggio di qualcuno che inverta la rotta, che si prenda sulle spalle la fatica di dialogare con i giovani per allontanarli dall'illusoria euforia dell'edonismo e della ricchezza, che difenda la vera manifestazione artistica, la vera cultura, la società sana, qualcuno che soprattutto ci educhi avendo non la presunzione ma giusto titolo per farlo.
Dove può andare una società senza maestri?

Quando esce un tuo libro

Da pochi giorni è sul mercato una mia raccolta di racconti (Giri di Giostra - Gruppo Edicom Ed.).
E' il frutto di un lavoro svolto fra il 1998 e il 2003 ed il cui risultato, visto con gli occhi di oggi, mi soddisfa. Pubblicare qualcosa: lasciare qualcosa di se stessi, qualcosa che resta mentre tu passi e vai. Non aspiro ad alcun risultato di vendite. Mi basta aver provato questa sensazione, di dare senso compiuto agli sforzi fatti per afferrare qualcosa che sembra agguantato ma che, all'ultimo, sfugge sempre di mano: il senso della vita. Sono storie semplici, minimaliste e, per questo, spero universali. Le cose più semplici sono quelle di tutti. Volevo scrivere un libro che fosse per tutti.
Ma non mi esalto: è soprattutto una prova per confrontarmi con me stesso nel mestiere di scrittore. Prova superata? Certamente mi dà gli stimoli per andare avanti cimentandomi con un romanzo breve. Difficile dire quando potrà vedere la luce; comunque lo porterò a termine. Un'altra storia semplice, che parla della lotta fra istinto e ragione.

23.6.05

Dove va il cinema?

Non mi considero un esperto di cinema ma un appassionato sì.
Non saprei ricostruire a memoria le cinematografie di questo o di quell'autore, non ho in dote una memoria che mi aiuti a trattenere nel tempo le trame delle pellicole viste, nè soprattutto saprei interpretare un film traendone spunti stilistici, tecnici o comparativi.
Mi considero però un appassionato: nel senso che il posizionarmi davanti ad uno schermo per seguire lo sviluppo di una trama per due ore circa, mi suscita appunto sentimenti di passione, di sincera emozione e trasporto. Da qui, il gusto nel recuperare le copie dei film dei registi preferiti o i libri ricchi di critiche e fotografie: tutto questo per fare quelle immagini mie per sempre.
Da appassionato, incontro tuttavia sempre maggiori difficoltà nel trovare soggetti realmente coinvolgenti e che soprattutto mi emozionino. Troppo spesso il progetto di un film sembra studiato a tavolino per cogliere ben precisi obiettivi, siano essi di commercializzazione, di intellettualismo o di un misto dei due, che forse è la cosa peggiore.
I film sembrano così tutti perfettamente classificabili: c'è la commedia a sfondo romantico, quella a sfondo comico-demenziale, c'è il thriller, c'è l'horror, c'è la cinematografia orientale con i suoi melò molto curati ma spesso molto noiosi, c'è la cinematografia italiana ormai cronicamente convergente su prodotti-fiction di ambientazione borghese e di stampo para-televisivo.
Ovvio, è abbastanza logico che un film trovi una sua catalogazione da parte della casa che lo produce o da parte della stampa che lo presenta. Ma il tutto sembra quasi che avvenga a priori, in modo preconfezionato. Ciò pregiudica la naturalezza della sceneggiatura e soprattutto ne penalizza i contenuti, che si appiattiscono su schemi ripetitivi.
Non amo particolarmente il cinema americano di questi ultimi anni. Mi irrita il sottofondo moraleggiante che lo caratterizza, mi irritano i luoghi comuni di cui è zeppo, i dialoghi mai naturali ma sempre enfatici e recitati/doppiati a ritmi frenetici. Ugualmente mi infastidisce l'abuso di piani temporali sovrapposti e di un ermetismo artificialmente volto a mantenere desta fino alla fine la suspence dello spettatore, così però confondendolo con mille dettagli inutili che allentano la tensione emotiva. La suspence come surrogato di una trama evidentemente non troppo avvincente in sè.
Mi piacerebbe invece vedere storie molto lineari, semplici nello sviluppo narrativo ma profonde e complesse nei sentimenti e nelle atmosfere che le animano. Vorrei appassionarmi alla vicenda (in fondo un film deve raccontare una vicenda) senza dovermi scervellare per fare faticosi collegamenti fra minuziosi dettagli sparsi ad arte fra i metri del film.
Vorrei che potesse ancora nascere qualche grande regista, un altro Hitchcock, un altro Renoir, gente che faccia la storia del cinema, che racconti grandi storie e che non si limiti ad esercizi di stile od a costruire macchine da soldi.
O meglio, il cinema continuerà sempre a produrre film che portino soldi, perchè è di soldi che si nutre. Una volta però con i soldi gli spettatori compravano belle storie, trame coinvolgenti e poetiche, energie di lotta e slanci di impegno sociale; oggi acquistano prodotti senza coraggio, fiacchi nell'impegno del regista e dello sceneggiatore e, di conseguenza, fiacchi nelle emozioni che suscitano.

21.6.05

Per iniziare

Finalmente capisco dove indirizzare veloci riflessioni che altrimenti rinuncerei a ricordare.
Riflessioni che possano interessare altri; niente personalismi quindi!